Per il Tribunale dei Minori di Bologna potrebbe essere illegittimità la legge italiana che non consente al giudice di valutare se la circostanza risponde all’interesse del bambino al di là del fatto che il matrimonio non ha effetti nel nostro Paese
Approda alla Corte Costituzionale l’ardua decisione circa la possibilità per uno dei partner della coppia gay sposata all’estero di adottare anche in Italia il figlio dell’altro a seguito di una sentenza straniera che riconosce tale facoltà. A disporlo un’ordinanza depositata dal tribunale dei minori di Bologna, presidente ed estensore Giuseppe Spadaro. La questione di legittimità costituzionale è sollevata in ordine alla “legge adozioni” in merito all’istanza di riconoscimento in Italia di un’adozione già decisa negli Stati Uniti d’America. In particolare la vicenda trae spunto dal ricorso intentato da due donne lesbiche, sposate all’estero, con il quale hanno chiesto al tribunale emiliano il riconoscimento di una sentenza americana con cui il giudice locale aveva disposto l’adozione di una minore, figlia biologica di una delle due, nei confronti dell’altra donna. Le due donne e i rispettivi figli, nati con fecondazione eterologa, risiedono regolarmente in Italia dove si sono trasferite. Il nodo della vicenda sta nel fatto che la normativa vigente impedisce al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore adottato all’estero, il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore, a prescindere dal fatto che il matrimonio stesso abbia prodotto effetti in Italia (come per la fattispecie del vincolo stabilito tra persone dello stesso sesso. Non tralasciando anche possibili violazioni della Carta Europea dei diritti dell’uomo.Un’ordinanza, quindi, che certamente farà scalpore nel Nostro Paese, rileva Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, che però prova a mettere ordine in una materia nella quale ci sono ancora troppi buchi neri a livello legislativo che possono ledere diritti che da tempo sono altrove riconosciuti.