Le dimensioni dell’astensionismo nelle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna e della Calabria sono l’amaro frutto dell’anomalia della nostra democrazia per la presenza di un governo, peraltro non espresso da un voto politico sulla base di un preciso programma, che si trova a operare nell’assenza di una opposizione dotata dei requisiti necessari per essere davvero tale:

una opposizione formale in quanto esplicitamente dichiarata, sostanziale perché capace di contrastare seriamente le scelte della maggioranza nel Parlamento e nel Paese ed efficace vale a dire impegnata a preparare con qualche credibilità un’alternativa politica. L’opposizione di Forza Italia è stata invero e continua ad essere solo formale in quanto intesa a mascherare la sostanziale collaborazione fra Berlusconi e Renzi ben oltre l’ambito delle riforme istituzionali fino a investire l’intera politica economica e del lavoro mentre le opposizioni del Movimento 5 Stelle, della destra leghista e dei “Fratelli d’Italia” si appalesano inefficaci per l’estrema radicalità e la vistosa fragilità delle scelte qualificanti dei rispettivi gruppi dirigenti.

Nonostante certe previsioni il recente voto regionale, con l’arretramento dei pentastellati e la caduta libera di Forza Italia a vantaggio della Lega, difficilmente potrà creare scossoni nelle forze che figurano all’opposizione del governo. Ed infatti Grillo e Berlusconi, veri padri-padroni delle rispettive formazioni politiche, appaiono accomunati dalla stessa determinazione di non mollare la presa sulle rispettive “creature” anche a costo di farle lentamente perire: l’ex comico per uno smisurato amore di sé che non gli consente di riconoscere gli errori commessi nel propugnare una palingenesi politica senza logica e senza mete e Berlusconi perché preoccupato solo dei suoi interessi aziendali e ossessionato dalla voglia di riabilitare la sua storia politica per presentarsi come coautore delle riforme istituzionali e novello “padre costituente”. Certo le cose cambieranno sia nel movimento di Grillo e sia in Forza Italia ma purtroppo occorrerà tempo prima che le energie progressiste presenti nel Movimento 5 Stelle possano stabilire rapporti di fruttuosa collaborazione con le forze impegnate sul fronte di un autentico cambiamento economico-sociale e prima che a destra l’esperienza berlusconiana faccia spazio a un partito moderato di cultura liberal-democratica e di modello europeo. Un partito quest’ultimo che non potrà certo avere un punto di forza in Matteo Salvini con le sue simpatie per la Russia di Putin e i fascisti di CasaPound e con le sue estemporanee sortite sull’Europa e l’emigrazione nonché su quel capolavoro di equità che sarebbe l’aliquota IRPEF “unica” e perciò destinata a gravare in egual misura sui plurimiliardari e sui poveri diavoli.

Nella situazione politica del nostro Paese c’è dunque, fatta salva la combattiva pattuglia di Sel, un vuoto di opposizione che viene in qualche modo colmato dal ruolo critico svolto dalla minoranza del Partito Democratico che contesta le riforme istituzionali del Governo e la riforma del lavoro come formulata nel disegno di legge delega denominato “Jobs act” in omaggio a un dilagante quanto stucchevole inglesismo. Un provvedimento generico ed evanescente nelle innovazioni che dovrebbero allargare i diritti ma preciso e concreto in quelle destinate a mortificarli o restringerli. Un ruolo di contrasto e di controllo dunque, quello della minoranza PD, che nel deserto di sostanziali e credibili opposizioni svolge una funzione di vitale importanza per la nostra democrazia. Una funzione tuttavia che, quando viene svolta nei rapporti con la pubblica opinione e nelle sedi parlamentari, appare pur sempre una proiezione dell’opposizione interna al partito e quindi non tale da supplire al difetto di un normale rapporto dialettico a tutto campo fra maggioranza e opposizione. La nostra è quindi una democrazia zoppa, che tale rimane sul versante politico nonostante la valida opposizione sociale del sindacato, e questo spiega l’astensionismo elettorale da record manifestatosi nelle recenti elezioni regionali. Una diserzione dalle urne che ha colpito tutte le forze politiche e in modo assai pesante il pur vittorioso Partito Democratico i cui elettori a migliaia, come ha detto Bersani, si sono “autosospesi” chiedendo che il PD si faccia carico dei drammi sociali e delle domande di giustizia della gente.

Nel suo discorso al Parlamento Europeo del 25 novembre Papa Francesco ha parlato del “vuoto ideale” che affligge il “cosiddetto Occidente” e ha denunciato “le situazioni in cui gli esseri umani sono trattati come oggetti” e offesi nella loro dignità perché privati del lavoro e del minimo essenziale per vivere. Sul lavoro il Pontefice è andato poi più in fondo e ha detto che occorre “favorire le politiche di occupazione” per ridare dignità al lavoro e “coniugare la flessibilità del mercato con le necessità di stabilità e certezza delle prospettive lavorative indispensabili per lo sviluppo umano dei lavoratori”. Un messaggio che dà un supplemento d’anima alle grandi direttive della nostra Costituzione sui temi dei diritti umani, dell’uguaglianza e del lavoro. Principi e valori che potrebbero colmare quel “vuoto di ideali” di cui sembra soffrire il nostro Governo che, soprattutto in materia di lavoro, non appare in sintonia col discorso dei diritti per tutti e dei doveri di solidarietà come scelta che affonda le sue radici nella cultura del socialismo democratico e del solidarismo cristiano.

Michele Di Schiena