Un equipe di studiosi dell’Università di Zurigo ritiene che negli istituti di credito ci sia una cultura d’impresa che favorisce implicitamente azioni sleali
A livello privato il lavoratore attivo in banca è una persona perbene come qualunque altro salariato, ma sul posto di lavoro è più incline a comportamenti disonesti, perché inserito in una cultura d’impresa che favorisce implicitamente azioni sleali. A sostenerlo un gruppo di ricercatori dell’Università di Zurigo sulla base dei risultati di uno studio pubblicato da “Nature”. L’associazione svizzera degli impiegati di banca (ASIB) ha ovviamente reagito con “indignazione”, facendo notare che la ricerca si riferirebbe ad istituti internazionali.Dalle manipolazioni dei tassi all’intervento fraudolento sul corso delle azioni, passando dalle bugie sui prodotti di investimento e dalla complicità in frode fiscale: in materia di etica il comparto finanziario non ha brillato negli ultimi anni. Diversi osservatori hanno attribuiscono gli scandali alla cultura d’impresa di stampo spiccatamente materialista che vige nel settore.Tre ricercatori, dell’Istituto di economia politica dell’Università di Zurigo, Ernst Fehr, Alain Cohn e Michel Maréchal, hanno provato a verificare se quello delle banche è un terreno fertile per la menzogna. Ed il loro studio è addirittura approdato sulla rivista scientifica “Nature”, nella quale l’esito è stato impietoso: sì. L’esperimento ha riguardato l’analisi comportamentale di 208 dipendenti di banca, divisi in due gruppi. Tutti dovevano tirare una moneta: per ogni “testa” i soggetti ricevevano 20 dollari. La tentazione di mentire era notevole, perché i lanci venivano effettuati in uno spazio separato, al riparo da sguardi indiscreti.Prima di giocare i membri dei due gruppi dovevano rispondere a un questionario. Le domande sottoposte al primo gruppo concernevano il tempo libero, mentre il secondo gruppo era interrogato sull’attività professionale. Questo, secondo i ricercatori, ha permesso di attivare differenti identità: ogni persona ne possiede infatti diverse, a seconda del ruolo familiare, professionale o sociale.I membri del primo gruppo hanno presentato una percentuale di “testa” del 51,6%, vicina a quella statistica del 50%. Nel secondo gruppo per contro la percentuale è risultata del 58,2%: una differenza significativa, quindi.L’esperimento è stato ripetuto con altri lavoratori non del settore bancario e con studenti. In entrambi i casi il livello d’onestà rilevato è stato uguale sia nel gruppo in cui è stata attivata l’identità sociale che in quello che in cui si è puntato sul ruolo professionale.”I risultati fanno pensare che le norme sociali vigenti nell’industria bancaria facciano tollerare maggiormente comportamenti disonesti”, afferma Maréchal, professore di ricerca economica sperimentale all’ateneo di Zurigo. Questo può portare a danni alla reputazione degli istituti.Gli esperti auspicano quindi misure concrete per far fronte al problema. Secondo Alain Cohn, che nel frattempo sta proseguendo i suoi studi a Chicago, i dipendenti di banca potrebbero essere chiamati a prestare un giuramento professionale, analogo a quello dei dottori. Attraverso incentivi finanziari il personale dovrebbe inoltre essere portato a dare maggiore importanza agli effetti sociali di lungo termine del suo operato, invece che pensare solo al breve periodo.Lo studio non è passato inosservato. Per tramite della loro organizzazione ASIB gli impiegati di banca hanno preso posizione in modo critico. I responsabili dell’inchiesta non sono stati in grado di indicare se i dipendenti di banche elvetiche abbiano partecipato all’inchiesta e se sì in quale misura, si legge in un comunicato.Secondo l’ASIB l’indagine interessa le banche internazionali, dove domina una cultura d’impresa anglosassone, e non riflette minimamente i contorni del ramo in Svizzera, dove sono presenti anche società cantonali, regionali e cooperative.L’ASIB ha comunicato di opporsi con forza alla diffamazione in blocco dei bancari: “sulla base di un’esperienza quasi centenaria sappiamo che gli impiegati di banca svizzeri sono persone perbene e che lavorano molto e soddisfano i bisogni dei clienti fornendo prestazioni di alto livello qualitativo”, sottolinea l’associazione.Ovviamente, rileva Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, non è noto se in Italia siano state effettuate indagini analoghe, ma ciò che colpisce e che probabilmente dovrebbe far riflettere è che la colpa di tali presunti possibili comportamenti risieda proprio nella “cultura d’impresa insita nelle banche stesse” ed è sui vertici di queste, piuttosto che sui singoli dipendenti che, a parere dello scrivente che bisognerebbe agire per impedire il reiterarsi a catena di comportamenti scorretti.