Calendario illustrato Carabinieri 2014. Dalla conferenza stampa
La famiglia è il tema di quest’anno del calendario illustrato dell’arma dei carabinieri, dove la puglia fa da protagonista presentato dal Colonnello Andrea Paris questa mattina in conferenza stampa.. Un’omaggio che l’arma ha voluto fare alle famiglie dei militari dedicando anche la copertina del calendario.
Una donna dell’arma aggiusta il berretto al figlio nella prima pagina e particolare attenzione al paginone centrale dedicato al matrimonio, quando non era possibile coniugarsi da regolamento perché i rischi che comportava il mestiere sacrificava troppo la famiglia.
Copertina Calendario Storico dell’Arma 2015
Particolare de “Il Nastro Rosso”, di Monica Aruta, vincitrice del 1° Premio per la categoria “Pittura” del Concorso Artistico Nazionale indetto dall’Arma dei Carabinieri, dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, nell’anno del Bicentenario di Fondazione.
Quella dell’Arma è una grande famiglia. Grande e numerosa.
Comprende i militari in servizio: uomini e donne che hanno scelto di essere a disposizione delle nostre Comunità.
Comprende i tanti che, non più in servizio, continuano con entusiasmo nel loro impegno sociale, vivificando le molte attività benefiche e di protezione civile dell’Associazione Nazionale.
Una famiglia che vede genitori, coniugi, figli, condividere con il loro Carabiniere i sacrifici e le soddisfazioni di una vita certo non facile, ma estremamente bella e pulita, più spesso vissuta tra le mura della stessa caserma, in una pregnante comunione di servizio e affetti.
Questa l’essenziale ragione dell’immagine di una caserma in copertina. La caserma “Bergia” di Torino è la nostra prima sede, la prima casa del Carabiniere. Da allora, la caserma è un punto di riferimento: il luogo dove ognuno di noi inizia il suo cammino professionale, la casa che accoglie tutti coloro che scelgono e rispettano quotidianamente i Valori dell’essere Carabiniere, la casa che riceve anche le nostre famiglie.
Ed è a loro, ai nostri cari, che è dedicato il Calendario Storico di quest’anno. Perché nella famiglia è radicata la disponibilità a provvedere che il Carabiniere coltiva nella sua missione quotidiana, che si tratti di vigilare sulla sicurezza di un borgo del nostro Paese o di costruire la pace fuori dai confini nazionali, animato solo da inviolabile fedeltà ai principi di legalità, libertà e giustizia.
Un riconosciuto senso del dovere che è cifra distintiva del nostro agire e che trova da sempre piena e speculare rispondenza nell’ambito familiare, come attesta il quadro realizzato dalla giovane vincitrice del concorso nazionale di pittura indetto per il Bicentenario di Fondazione dell’Arma: sintesi artistica dell’abbraccio ideale e del passaggio del testimone tra le generazioni della stessa famiglia.
Con questo spirito abbiamo voluto leggere la storia dell’Istituzione, andando a scrutare l’aspetto più umano di alcuni Carabinieri. Dai loro manoscritti emerge chiaramente l’amore per la famiglia, cemento della coesione morale della più grande famiglia dell’Arma e alimento costante di quella straordinaria motivazione che ha scritto gloriose pagine di storia.
Quelle madri, quelle mogli e quei figli che hanno ricevuto quelle lettere non hanno solo trepidato per la sorte dei loro cari, ma hanno anche avvertito intimamente l’orgoglio di essere parte viva e pulsante di quella storia.
A quelle famiglie, alle nostre famiglie, va il nostro pensiero riconoscente.
A tutti noi, consapevoli custodi di questo immenso patrimonio etico, il compito di avviarci sui sentieri del terzo secolo di vita dell’Arma, al servizio della Patria e degli italiani.
Carabinieri
Il reclutamento dei Carabinieri ha da sempre tenuto conto della provenienza degli arruolandi, in particolare del profilo morale della famiglia di origine.
Sono stati numerosi i casi di prestigiose carriere iniziate dal rango di Allievo Carabiniere conclusesi addirittura con la nomina a Comandante Generale. Rilevanti anche i casi di Ufficiali Generali provenienti da famiglie borghesi che, arruolatisi come Carabinieri, sono giunti poi ai vertici dell’Istituzione, come avvenne per il Maggiore Generale Trofimo Arnulfi, nominato Membro del Comitato dell’Arma nel 1861, dopo avere organizzato il servizio dei Carabinieri in Lombardia nel 1859 e a Napoli l’anno successivo.
Nelle fotografie: a sinistra, un Luogotenente con la moglie a Napoli, nel 1861, anno di istituzione della Legione Carabinieri nel capoluogo campano; in basso, da sinistra: un Maresciallo Comandante di Stazione con la moglie, la figlioletta ed i suoi dipendenti (1919); il distintivo sul braccio sinistro indica la specialità di “tiratore scelto”; segue un Maresciallo d’alloggio con la moglie (1914) e un Carabiniere ciclista con il figlio (1924).
Sopra, il Maggiore Romeo Stoppani con la moglie Benedetta ed i figli Dorotea e Ferdinando (1903); sotto, la famiglia di un Tenente in gita a dorso d’asino nelle campagne di Tivoli, vicino Roma (1891).
Dopo Pastrengo
Il racconto della battaglia alla moglie Luigia
Erano trascorse meno di 48 ore dalla fine della battaglia di Pastrengo, quando il Capitano Bernardino Morelli di Popolo sentì il desiderio di scrivere alla moglie Luigia per darle notizie sull’esito del fatto d’armi e comunicarle di essere sopravvissuto. La lettera è il primo documento che narra le fasi della famosa Carica, descritte con linguaggio asciutto, tipico di un militare, spoglio di qualsiasi tono trionfalistico.
Venne scritta da Sommacampagna, località poco distante da Pastrengo, ove l’Armata Sarda si era momentaneamente accampata prima di riprendere le operazioni. Dopo cinque giorni ebbe luogo la battaglia di Santa Lucia, alla quale presero nuovamente parte i Carabinieri a cavallo.
Lo scritto contiene anche riflessioni personali, tra le quali:
“… la vita di campagna è faticosa ed è ciò che più mi spiace, poiché il pericolo del campo si affronta, ma le notti intere senza quasi dormire per li continui allarmi, il mantenermi tre giorni interi con sola insalata senza aglio e con sola polenta senza sale, senza mai assaggiare pane o carne, è cosa che infastidisce e dimagrisce. È questa la sorte che mi toccò da tre giorni e da tre notti in qua”. Il Capitano Morelli di Popolo aveva contratto matrimonio con la damigella Luigia Laviny il 30 maggio 1840 quando, ancora Sottotenente, prestava servizio nel Reggimento Novara Cavalleria.
Nel novembre del 1842, ottenuta la promozione a Capitano, transitò nell’Arma dei Carabinieri.
Il Capitano Bernardino Morelli di Popolo, Comandante di uno dei tre Squadroni Carabinieri della Carica di Pastrengo, autore della lettera riprodotta a destra. Nell’immagine l’Ufficiale veste i gradi da Generale.
E’ il Comandante dei tre Squadroni Carabinieri, il Maggiore Alessandro Negri di Sanfront, a scrivere dal fronte della Prima Guerra d’Indipendenza.
La breve lettera è diretta alla madre, la Contessa Giacinta di Gifflenga, alla quale si rivolge dandole del “lei”. Nella parte non leggibile (a sinistra) è scritto tra l’altro: “Il Re è contento
dei miei Squadroni”. Nel successivo mese di luglio l’Ufficiale dovette proteggere con i suoi Squadroni il ripiegamento del Re verso Milano.
A destra, il Maggiore Alessandro Negri di Sanfront, nominato alla vigilia della Prima Guerra d’Indipendenza (1848-1849) Comandante dei tre Squadroni di Carabinieri Reali assegnati alla scorta del Re Carlo Alberto.
Sotto, una interpretazione di Sebastiano de Albertis del fatto d’arme di Pastrengo.
A destra, il Maggiore Negri di Sanfront nel momento in cui interviene a protezione del Re Carlo Alberto.
Il padre di famiglia terrore dei briganti
La gloriosa storia del Capitano Chiaffredo Bergia è ben nota: di lui si sa che ha debellato numerose bande di briganti nel sud postborbonico e che ha ricevuto un gran numero di Medaglie al Valore Militare e Civile.
E’ la sua vita privata invece ad essere poco conosciuta, così come la grande forza che egli seppe trarre dall’affetto ricevuto dalla moglie e dai figli, intensamente ricambiato. Il suo profilo di buon Carabiniere trovò modo di completarsi nel suo esemplare ruolo di marito e di padre.
A sinistra, il “Processo Verbale” relativo alla disarticolazione da parte del Brigadiere Bergia della banda Pomponio-D’Alena, la più temibile che terrorizzasse l’Abruzzo nel 1870. Sotto, una squadriglia volante di Carabinieri, di cui egli (terzo da sinistra, in prima fila) faceva parte durante gli anni della lotta al brigantaggio meridionale.
A destra, Chiaffredo Bergia con la moglie Claudina Rosa e i tre figli, in una foto del 1885, quando prestava servizio col grado di Tenente alla Legione di Torino.
Iniziata la carriera da semplice Carabiniere, la concluse col grado di Capitano, conseguito per meriti eccezionali.
Venne decorato della Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia, della Croce di Cavaliere dell’Ordine Equestre della Corona d’Italia, di una Medaglia d’Oro, di tre d’Argento e due di Bronzo al Valor Militare.
In alto, la progressione della carriera di Chiaffredo Bergia scandita dal numero di medaglie che decorano il suo petto; la prima fotografia è del 1871, quando col grado di Brigadiere, era già decorato di tre Medaglie, di cui una d’Oro. L’ultima immagine è del 1891, quando aveva 51 anni e vestiva il grado di Capitano.
L’anno successivo si spense, mentre era in servizio alla Legione di Bari, che lo ricorderà intitolandogli la propria Caserma. A destra, un brano tratto dal libro biografico pubblicato in “edizione popolare” nel 1892.
La battaglia di Adua narrata da un Ufficiale dei Carabinieri
“Cara Mimmirò,
Grazie della tua cartolina. Nel combattimento del 1° marzo fui in primissima linea, ove avevo sollecitato andare facendomi dare un ordine da portare al Generale Albertone che comandava gli indigeni. Come e perché io sono salvo non so. Ebbi il muletto ferito ed una palla passò l’arcione della sella. Mi armai di moschetto e combattei con questo anch’io. Era destino essere salvo da quella mischia e portar con me vivo e perenne il rimorso che tanti amici, compagni ed inferiori sono morti, mentre io son vivo… Credi, penso agli amici perduti, visti cadere, là vicino a me taluni colpiti con le sciabole perché eravamo quasi corpo a corpo e mi vengono ancora le lacrime agli occhi. Penso e piango ancora pel mio caro Soliman che è morto senza che io lo vedessi, era con me e nella confusione disparve.
Povero Soliman. Ho dato molto danaro alla sua famiglia, ma ciò che sollievo è per me se non l’ho più vicino? Perché sopravvivere ad una catastrofe simile? Io ero stato dato per morto siccome ero restato in mezzo agli scioani e quando la sera raggiunsi una colonna che si ritirava ebbi da tutti le più commoventi espansioni d’affetto.
Molti mi abbracciarono piangendo. Ma soprattutto chi mi si buttò al collo piangendo e mi tenne stretto senza poter parlare per un pezzo fu il mio caro, il mio buono Mohammed. Forse un giorno ti conterò i particolari di quella giornata disastrosa, ora sto attendendo un’altra volta l’ora di combattere, ma questa volta nulla si farà. Partecipa questa mia a Mammà ed a Maria, alle quali non scrivo per mancanza di tempo partendo a momenti il corriere per Massaua.
Abbraccia Mammà ed Alberto tuo Alfredo”
Il Capitano dei Carabinieri Alfredo Amenduni, Comandante della Compagnia Carabinieri che prese parte alla battaglia di Adua del 1896, durante la quale cadde il Capitano Achille Alessandri,
alla cui Memoria venne concessa la Medaglia d’Argento al Valor Militare.
Sopra, la caserma dei Reali Carabinieri a Massaua, in Eritrea, nel 1895. A destra, la lettera inviata dal Capitano dei Carabinieri Alfredo Amenduni alla moglie dopo la battaglia di Adua del 1° aprile 1896, alla quale aveva preso parte quale Comandante di una Compagnia di Carabinieri. La lettera è trascritta integralmente in alto.
Nella battaglia l’Esercito Italiano perse due Generali, 260 Ufficiali, 3.772 graduati e 2.600 ascari.
La notizia della grave sconfitta provocò in Italia unanime cordoglio.
Sopra, il Maggiore Salsa e il Capitano Angherà a colloquio in territorio abissino con l’imperatore Menelik, latori di una proposta di pace che, se accolta, avrebbe scongiurato la grave sconfitta italiana ad Adua.
I biglietti alla famiglia dal Podgora
Il Carabiniere Orazio Greco (nel ritratto sopra), in forza all’8^ Compagnia del Reggimento Carabinieri Mobilitato, all’alba del 18 luglio 1915, nell’imminenza della battaglia del Podgora, si portò sotto le linee nemiche per danneggiare con tubi di gelatina i reticolati austriaci. L’operazione riuscì, ma nell’azione il Carabiniere perse la vita. Nelle sue tasche, al momento di comporne le spoglie mortali, venne trovato il biglietto diretto alla madre (in alto a sinistra), sul quale si legge:
“… tra poco attaccheremo il forte nemico. Se dovessi cadere non piangete, mandate gli altri fratelli quassù che ve n’è bisogno per la Patria”.
Il militare aveva scritto quelle poche righe prima di iniziare l’impresa, consapevole del rischio al quale si sarebbe esposto. Un suo commilitone ebbe
il triste incarico di recapitare il biglietto alla madre che, alla sua vista, impallidendo, chiese:
“E’ di Orazio, vero?”.
Una veduta dell’Isonzo e sullo sfondo la collina del “Podgora”, teatro della battaglia del 19 luglio 1915.
Gli austriaci, per difendere la città di Gorizia, si erano strategicamente posizionati sulla sponda destra del fiume.
Nella pagina a fianco, l’episodio in cui, il 18 luglio 1915, cadde sul Podgora il Carabiniere Orazio Greco (tavola di Vittorio Pisani).
A sinistra, foto di un attendamento di Carabinieri sul Podgora, la collina presso Gorizia, tenacemente difesa dagli austriaci per impedirne la caduta in mani italiane.
Il terzo militare da sinistra è il Carabiniere Domenico Della Giorgia, anche lui caduto sul Podgora.
(Pagina Centrale)
Il matrimonio, un aspetto importante per i suoi riflessi sul servizio
“Non è dubbio adunque che lo stato coniugale non si confà con quello di un militare, e specialmente d’un Carabiniere”.
Conclude con questa categorica dichiarazione di principio l’art. 485 del Regolamento Generale per il Corpo dei Carabinieri Reali del 1822, preceduta in un capoverso dall’ammonimento “… queste gravi considerazioni devono essere ben ponderate prima di determinarsi ad eleggere lo stato coniugale”. Le gravi considerazioni non erano poche, come la “… difficile convivenza delle famiglie nelle Stazioni, il maggiore incentivo a contrarre debiti, gli stretti doveri d’educazione, ed infine l’esistenza precaria”. Venivano poi elencate le necessarie autorizzazioni superiori e le condizioni indispensabili: “… le domande devono essere trasmesse per via gerarchica ed appoggiate a pezze legali constatanti che la prescelta appartenga ad onesta e decente famiglia, che sia d’ottimi costumi, e che possa disporre d’una dote di 5.000 lire nuove almeno, in contanti od in stabili assolutamente liberi da ogni vincolo”. Col tempo molte di queste “precauzioni” sono state stemperate, ma è rimasta invariata l’attenzione sulla necessità che il profilo morale del Carabiniere trovasse completezza anche nella sana ed esemplare vita famigliare. I pochi episodi esposti in questo Calendario, che non sono i soli, confermano il premuroso riguardo, che in 200 anni di vita, l’Arma ha sempre riservato alle consorti dei Carabinieri, prime compartecipi dell’impegno espresso dai mariti nell’assolvimento del servizio.
Nella tavola a colori: “Passeggiata domenicale” (1925), di Aldo Carpi De Resmini
Le Stazioni, le tante case di una sola grande famiglia
“La caserma pel Carabiniere è la propria casa, è il luogo suo di residenza, ove deve passare i propri giorni e compiervi i suoi doveri”. Così esordisce il capitolo “Contegno nelle Caserme” del Galateo del Carabiniere, edito nel 1879 dal Capitano Gian Carlo Grossardi.
Passando a trattare della presenza nelle Stazioni dei militari ammogliati, l’autore non esita ad affermare che: “… la famiglia di un militare che si rispetti deve usare della massima riservatezza, ed imponendo anche a sé stessa dei sacrifici”. L’essere i famigliari di “… individui per buona condotta e saviezza distinti …” assegna loro un ruolo ben più gravoso e non codificato, la condivisione dei valori e dei sacrifici propri del Carabiniere.
La Stazione dei Carabinieri non cessa di essere il punto di riferimento per la cittadinanza: sopra, i militari della Stazione Carabinieri di Pesaro, nel 1930, posano per la foto ricordo della Festa dell’Arma; sotto, la stessa ricorrenza celebrata a San Giovanni a Teduccio (Napoli), nel 1924, con la partecipazione delle autorità locali e di una elegante rappresentanza femminile; al centro, i militari della piccola Stazione di Sessano, in Umbria, in compagnia di un commilitone pluridecorato, in congedo.
Capofamiglia, Ufficiale e pastore barbaricino
Se non fosse per i gran baffi, sarebbe difficile riconoscere la stessa persona nel pastore sardo e nell’Ufficiale dei Carabinieri della pagina a fianco: si tratta di Lussorio Cau, Carabiniere leggendario per le operazioni compiute nel contrastare il brigantaggio sardo alla fine dell’800.
L’impresa più memorabile è quella passata alla storia come la “Battaglia di Morgogliai”: un conflitto a fuoco, di non comuni proporzioni per il tempo, che vide contrapposti i Carabinieri a numerosi briganti. La fotografia in alto mostra un lato inedito del militare Cau, quello famigliare, da dove traeva l’energia necessaria per esprimere la sua determinazione professionale. E’ l’immagine di un uomo sereno, nel mezzo della sua bella, grande famiglia, che amava profondamente.
A destra, la famiglia del Maggiore dei Carabinieri Lussorio Cau, nel 1922 a Palermo. La consorte dell’Ufficiale, signora Ada Levanti, è la quarta da sinistra, seduta accanto alla suocera, signora Collotti, al centro. I figli del Maggiore Cau, Eraldo ed Ella, sono il primo sulla destra, vestito alla marinara, e accanto a lui la sorella, seduta, vestita di bianco. Le altre persone ritratte sono i cognati dell’Ufficiale (famiglia Levanti) con le rispetive consorti.
Nato a Borore (Nuoro), nel 1867, Lussorio Cau entrò a far parte dell’Arma nel 1887.
Assegnato, col grado di Vicebrigadiere, ad un Comando in Sicilia, si distinse subito nella lotta al banditismo e contro la mafia. Promosso Brigadiere, gli venne assegnato il comando della Stazione Carabinieri di Orgosolo, nella natia Sardegna, ove avrebbe potuto, conoscendone i dialetti e le usanze, svolgere più proficuamente l’attività di servizio. Infatti, riuscì presto ad infiltrarsi nell’ambiente banditesco, assumendo per un periodo una falsa identità e indossando il costume sardo di pastore. Concluse la carriera nel 1928, col grado di Colonnello, decorato di Medaglia d’Oro e di Medaglia d’Argento al Valor Militare.
Da “L’Illustrazione Popolare” del 19 novembre 1899.
A destra, xilografia d’epoca sul banditismo sardo.
Ad Adelfia (Bari) nel 1937, in occasione dello scoprimento di una lapide in onore del Carabiniere Medaglia d’Oro al Valore Militare, Vittoriano Cimmarrusti, l’anziana madre del Caduto si rivolse al Comandante Generale dell’Arma, Gen. Riccardo Moizo, con queste parole: “Signor Generale, sono fiera di aver dato alla Patria un brandello di me stessa, mio figlio Vittoriano. Non chiedo altro a Vostra Eccellenza che un’unica grazia: quella di poter rivedere le spoglie mortali del mio Vittoriano”.
La fotografia riprodotta a destra è l’unica autentica cronaca di quella cerimonia: una madre umilmente orgogliosa del suo indesiderato ruolo, il Gen. Moizo visibilmente commosso e il giovane Carabiniere, fratello di Vittoriano, a testimoniare la continuità della grande famiglia dell’Arma.
Il Carabiniere Vittoriano Cimmarrusti, nella foto in alto a sinistra, nacque da famiglia di contadini ad Adelfia (Bari) nel 1912.
Arruolatosi nel maggio 1931 nell’Arma, dal novembre dello stesso anno prestò servizio nelle Legioni di Bolzano, Trento e Roma.
Nel 1935, allo scoppio del conflitto italo-etiopico, chiese di far parte della “1ª Banda autocarrata Carabinieri” diretta in Somalia.
Il 24 aprile successivo, a soli 24 anni, cadde eroicamente nel corso di un aspro combattimento.
L’eroico episodio in cui perse la vita il Carabiniere Vittoriano Cimmarrusti, riportato in una tavola di Vittorio Pisani pubblicata su “La Tribuna Illustrata” del 24 maggio 1936.
Motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria conferita all’Eroe: “Ferito gravemente ad un braccio da pallottola esplosiva, anziché avviarsi alla sezione sanità, come gli era stato ordinato, ritornava dopo sommaria medicazione, sulla linea di combattimento. Scorti armati abissini in agguato sulla destra della propria centuria, li attaccava a colpi di moschetto. Ferito una seconda volta, e non più in grado di imbracciare l’arma, proseguiva l’impari lotta con le bombe a mano uccidendo tre avversari, finché, crivellato di colpi, cadeva gloriosamente sul campo. Sublime esempio di consapevole eroico sacrificio.
Gunu Gadu, 24 aprile 1936”.
In alto, l’ultima lettera scritta da Vittoriano Cimmarrusti alla madre, due giorni prima di cadere in combattimento.
A destra, un particolare del dipinto di Vittorio Pisani.
Gli amori di Salvo D’Acquisto, la famiglia e l’Arma
Nella bacheca del Museo Storico dell’Arma dei Carabinieri dedicata a Salvo D’Acquisto si trovano alcune fotografie dell’Eroe, il suo stato di servizio, la motivazione della Medaglia d’Oro al V. M. e la lettera riprodotta in basso, nulla più. Un particolare colpisce l’attenzione del visitatore più accorto; sullo stato di servizio, riprodotto a destra, si legge “professione (prima dell’arruolamento): seminarista”.
Educato in un istituto salesiano, forse nella prospettiva della carriera sacerdotale, a 19 anni Salvo D’Acquisto si arruola nell’Arma dei Carabinieri, certo di trovarvi le condizioni per realizzare gli ideali che lo avevano orientato nella sua giovanile formazione religiosa.
Da un istituto dalla severità proverbiale transitò a un altro non meno significativo per la rigidità formativa, la Scuola Sottufficiali dell’Arma. Di lui si conosce poco, perchè poco è vissuto. Di lui nulla è stato raccontato, perchè nulla ebbe occasione di fare, tranne che amare i genitori, la madre in particolare, e i valori della famiglia, nel cui segno improntò i pochi anni vissuti.
La lettera riprodotta in basso venne scritta frettolosamente, quasi a testimoniare la mancanza di tempo che caratterizzò la sua breve esistenza terrena, che lui volle offrire al prossimo. Il 23 settembre del 1943, consapevole di porre fine alla sua giovane vita, si dichiarò responsabile alle truppe di occupazione nazista di un attentato non commesso.
“Salvo D’Acquisto” di Davide Delizi
Nella foto a sinistra, la madre dell’Eroe, Ines Marignetti e sua cognata, Maria Pinfildi, sposa di Oscar Marignetti, Maresciallo dei Carabinieri che prestò servizio in Africa in concomitanza con Salvo.
A destra, il giovane D’Acquisto in sella ad una motocicletta militare durante il corso Allievi Sottufficiali.
In alto a sinistra, la Torre di Palidoro (Roma), scenario del gesto eroico del Brigadiere Medaglia d’Oro al Valor Militare ed il monumento a lui dedicato.
Il Maresciallo Francesco Pepicelli aveva 37 anni quando scrisse il testamento, di cui vengono riprodotte alcune pagine. A quell’età, in genere, non si pensa
di affidare le ultime volontà ad uno scritto olografo, a meno che inducano a farlo condizioni di salute irreversibili. Il 15 giugno del 1943, data del testamento, egli non era in tali condizioni. Anzi, la sua perfetta efficienza fisica gli aveva consentito di aderire al Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri che, in quei giorni, iniziava la sua azione. Una fase tragica si stava dischiudendo per il nostro Paese e lui ne aveva percepito l’imminente gravità.
Questo è il messaggio che dedica alla moglie: “Olga mia, quando leggerai queste mie parole, scritte forse tanti anni fà o solo da pochi, il mio corpo è immoto, la mia vita è spenta…”. Un terrificante presagio, serenamente e lucidamente accettato. Olga lesse quelle parole dopo il 24 marzo 1944, data dell’eccidio
delle Fosse Ardeatine, quando il suo sposo già era stato barbaramente trucidato dai nazisti insieme ad altri 334 italiani, fra i quali undici militari dell’Arma.
Il Maresciallo Francesco Pepicelli, nato a Sant’Angelo a Cupolo (Benevento), nel 1906 si arruola, come volontario, nell’Arma dei Carabinieri. Dopo aver partecipato alla guerra d’Etiopia, viene promosso Brigadiere e assegnato al comando di alcune Stazioni dei Carabinieri nel Lazio, fino al 1940, quando,
con il grado di Maresciallo, assume un incarico presso la segreteria del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito.
Dopo l’8 settembre 1943 svolge un ruolo attivo nella Guerra di Liberazione, combattendo con la formazione militare clandestina dei Carabinieri. Viene arrestato dalle “SS” il 18 marzo 1944 e condotto alla prigione di via Tasso, dove subisce torture di ogni sorta.
Il 24 marzo 1944 perde la vita nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Alla sua memoria è stata concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Dal carcere nazista “con indicibile amore”
“Adorata mogliettina mia, quanto state facendo è veramente meraviglioso.
Il papà e il g. e le altre persone sicuramente faranno qualche cosa per me.
Babbo ti dirà quello che gli ho scritto (…) Mio amore, se sapessi come disperatamente ti adoro! Domani cicci mia ti scriverò più a lungo e vedrai amore che tutto finirà bene. Ti bacio con tutto il mio amore infinito, indicibile. Tuo Romeo”.
Questo brano conclude la lettera riprodotta a destra, inviata dal carcere di Regina Coeli al padre dal Tenente dei Carabinieri Romeo Rodrigues-Pereira, nell’inverno 1943-44. L’Ufficiale era stato arrestato dai tedeschi a seguito di una delazione che lo indicava appartenere al Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri, organizzato e comandato dal Generale Filippo Caruso.
“… Il 10 corrente il Tenente dei Carabinieri Romeo Rodrigues-Pereira viene tratto in arresto mentre partecipa ad un convegno clandestino. L’accusa è di spionaggio e di organizzazione di banda armata.
Lo accolgono prima le celle di via Tasso e quindi quelle del terzo braccio di Regina Coeli. Le sevizie cui viene sottoposto non scuotono in lui la fierezza, lo stoicismo e l’amore per la Patria, nè valgono a fargli rivelare i piani dell’organizzazione ed i nomi dei partecipanti. Né vale a farlo cedere l’arresto della sua compagna, la fedele Marcella, sposata tre anni prima.
Quest’ultima, d’intesa con la giovane moglie del Tenente Fontana, aveva tentato di farlo evadere, rimaendo, però, entrambe vittime di un infame tranello da parte di un maresciallo tedesco. Costui aveva fatto sperare di poter favorire, dietro compenso, l’evasione dei mariti ma, successivamente, non appena in possesso del denaro e dei gioielli, faticosamente raccolti, aveva proceduto al loro arresto. Saranno poste in libertà solo dopo il martirio delle Fosse Ardeatine. Infatti, il 24 marzo 1944, giorno successivo all’attentato di via Rasella, i Tenenti Rodrigues-Pereira e Fontana, poco più che venticinquenni, cadono sotto il piombo nazista.”
(Dalla memoria storica di Mario della Martina)
Dopo l’occupazione militare di Roma da parte dei tedeschi, avvenuta nell’autunno del 1943, si costituì il “Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri”, che in poco tempo raccolse oltre 6.000 militari della capitale e di altre zone controllate dai nazisti.
L’azione del Fronte costituì per l’agguerrito schieramento tedesco un serio problema, dovendo contrastare degli uomini esperti nelle armi e favoriti dal radicato insediamento nel territorio. Ciò malgrado, furono numerosi i Carabinieri, di ogni grado, catturati e torturati barbaramente.
Il Tenente Rodrigues-Pereira fu tra questi: venne ucciso alle Fosse Ardeatine unitamente ad altri 11 commilitoni, tutti del Fronte Clandestino.
A sinistra, la grande opera di Renato Guttuso dedicata all’eccidio delle Fosse Ardeatine, in cui vennero massacrati 335 tra civili e militari italiani.
A destra, un particolare del dipinto di Vittorio Pisani sullo stesso tema.
Il Tenente Romeo Rodrigues-Pereira
Mamma Santuccia e i “suoi” 12 Carabinieri
A Pontile di Fiuminata, nell’Appennino umbro-marchigiano, nessuno si è mai sorpreso che Santuccia Beni avesse avuto tra figli, nipoti, pronipoti e cugini 12 Carabinieri. Anche lei era considerata un “Carabiniere”, per il rigore morale, l’infaticabilità, l’amore per il prossimo, l’energia e la saggezza sempre dimostrati. Quando a Fiuminata giungeva un nuovo Comandante di Stazione, le sue visite di cortesia erano per il sindaco, per il parroco e per mamma Santuccia. In casa Beni era come sentirsi in famiglia e l’anziana donna ne traeva conforto per compensare la lontananza di figli, nipoti e cugini, sempre in ansia per la loro vita e timorosa che un giorno il Maresciallo le facesse visita “senza sorriso”. Il presagio si concretizzò la mattina del 18 maggio 1977, quando il Comandante della Stazione dovette dare la notizia alla famiglia Beni che Alfredo era caduto in un conflitto a fuoco con dei malviventi, nel centro marchigiano di Porto San Giorgio.
Da sinistra in senso orario: Giuseppe, Pietro, Antonio, Giovanni, Angelo, Francesco, Marino, Moreno, Valentino, Michele, Filippo, e, al centro, Alfredo, caduto a Porto San Giorno in un conflitto a fuoco con una banda di fuorilegge. Alla sua memoria è stata concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Sotto, l’Appuntato Giuseppe Beni in missione di scorta ad un convoglio nel Mediterraneo durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel corso del viaggio, il militare scrisse un diario, annotandovi le continue incursioni nemiche. Non trascurò di rivolgere il pensiero all’anziana madre sotto forma di lettere non spedite, che, ancora oggi, rilette, attestano il forte legame verso la famiglia e gli altri fratelli in armi. Uno di loro, Pietro, farà parte del “Contingente R” che il 4 giugno 1944 entrerà a Roma, accanto agli Alleati, e rioccuperà la Caserma Podgora per ristabilirvi, l’indomani, i Comandi dell’Arma.
Ricompense concesse all’Arma dei Carabinieri
dal 1814 al 2014
ALLA BANDIERA
1 CROCE DI CAVALIERE DELL’ORDINE MILITARE DI SAVOIA
5 CROCI DI CAVALIERE DELL’ORDINE MILITARE D’ITALIA
MEDAGLIE D’ORO
3 AL VALOR MILITARE
3 AL VALOR DELL’ESERCITO
9 AL VALOR CIVILE
6 AL MERITO DELLA SANITÀ PUBBLICA
5 AI BENEMERITI DELLA SCUOLA, DELLA CULTURA E DELL’ARTE
2 AI BENEMERITI DELL’AMBIENTE
1 DI BENEMERENZA PER IL TERREMOTO DEL 1908
4 AL MERITO CIVILE
1 DELLA PROTEZIONE CIVILE NAZIONALE PER IL TERREMOTO DEL 2009
MEDAGLIE D’ARGENTO
5 AL VALOR MILITARE
1 AL VALOR CIVILE
MEDAGLIE DI BRONZO
4 AL VALOR MILITARE
CROCI DI GUERRA
2 AL VALOR MILITARE
INDIVIDUALI
14 CROCI DI CAVALIERE DELL’ORDINE MILITARE DI SAVOIA
1 CROCE DI COMMENDATORE DELL’ORDINE MILITARE DI SAVOIA
28 CROCI DI CAVALIERE DELL’ORDINE MILITARE D’ITALIA
1 CROCE DI GRANDE UFFICIALE DELL’ORDINE MILITARE D’ITALIA
1 CROCE DI UFFICIALE DELL’ORDINE MILITARE D’ITALIA
MEDAGLIE D’ORO
121 AL VALOR MILITARE
2 AL VALOR DELL’ESERCITO
1 AL VALOR DI MARINA
13 AL VALORE DELL’ARMA DEI CARABINIERI
142 AL VALOR CIVILE
63 AL MERITO CIVILE
26 MEDAGLIE D’ORO AL MERITO DELLA SANITÀ PUBBLICA