E’ stato sottoscritto nel 1989 in un accordo firmato tra Ministero dell’ Industria ed enti locali; è stato scritto nelle convenzioni del 1996 e del 2002; noi lo abbiamo scritto e detto in tutte le salse e non ci stancheremo mai di  ripeterlo: Edipower deve chiudere, l’unico piano industriale accettabile e sostenibile per quel vecchio catorcio è la sua dismissione e la bonifica dell’area. Non ci possono essere altre proposte, è inaccettabile pensare di continuare a bruciare tonnellate di carbone in combinazione con tonnellate di rifiuti a poche centinaia di metri dal centro cittadino.

Non si può più prescindere da una visione globale del futuro del territorio brindisino: il rifiuto netto e incondizionato della proposta industriale targata A2A di matrice chiaramente colonialista deve essere il primo passo di una vera svolta verso un nuovo modello di sviluppo. Non abbiamo bisogno di “investimenti” ancora una volta calati dall’alto, privi di connessione col territorio; anzi la vera palla al piede di Brindisi è proprio quell’industria pesante ad alto impatto ambientale e sanitario e bassissimo tasso occupazionale, che ha fatto scempio del territorio castrando qualsiasi altra ipotesi di sviluppo sin dagli anni ’60. 

E’ sotto gli occhi di tutti il disastro di Micorosa, considerato dallo Stato come irreparabile tanto da deciderne il tombamento anzichè una vera azione di bonifica.

E’ sotto gli occhi di tutti il danno sanitario. E’ sotto gli occhi di tutti l’emigrazione crescente soprattutto di giovani che abbandonano questa terra che continuerà a non offrire loro nulla finchè politici e amministratori, insipienti e incapaci, insisteranno con i loro progetti di svendita del territorio.

 

Bisogna smettere di pensare che il lavoro si crea soltanto costruendo grandi mostri, come diceva uno striscione in una delle ultime manifestazioni a Taranto, ci vuole una “riconversione mentale”, dobbiamo riprenderci gli spazi, la terra, il nostro mare , iniziando da adesso o non lo faremo mai più, piegati , come lo siamo stati fino ad ora, da un vile e crudele ricatto occupazionale.