Nota Prof. Francesco Magno. DISCARICA AUTIGNO: DAL 2000 NESSUN INTERVENTO DI BONIFICA SULLA FALDA CONTAMINATA.
Avrei voluto estraniarmi dal problema dell’inquinamento della falda sottostante la discarica di Autigno ma, oggettivamente, ho la necessità di intervenire in virtù del fatto che quella discarica ha prodotto i peggiori sette anni della mia vita professionale e familiare.
Per essere stato co-progettista della discarica ed aver successivamente (dallo 01 luglio 2002) assolto all’incarico di “consulente” del Comune per la discarica, con la dizione di “direttore tecnico”, dizione questa inesistente su tutti i glossari comunitari e nazionali della normativa sui rifiuti e quindi “impropria” (vi è sentenza del Consiglio di Stato), sono stato condannato in primo grado a 10 mesi di reclusione e solo la Corte d’Appello di Lecce ha ritenuto che il “fatto non sussiste”.
Pur essendomi dimesso (15/12/2003) dalla richiamata ed impropria carica, ho assolto per circa 6 anni, per incarico del Tribunale di Brindisi, che mi vedeva come imputato e, successivamente, della stessa Corte d’Appello di Lecce, alla funzione di “custode giudiziale” della discarica; incarico terminato con l’emissione della sentenza favorevole e con la presentazione di due cospicue relazioni finali.
La discarica di Autigno ha iniziato ad essere esercita al conferimento degli RSU tal quali, a far data dal 7 luglio 2000 ed appena 54 giorni dopo (31 agosto 2000), a seguito di prelievi effettuati sui pozzi di monitoraggio, l’ARPA rileva uno stato di contaminazione da Ferro e Manganese, dovuto ad un abbondante superamento dei limiti di legge; ARPA ripete le analisi in data 26/02/2001 ed evidenzia il superamento dei limiti per i parametri ferro, nichel, manganese e, questa volta anche della Ammoniaca, non inserita nelle analisi del 31 agosto 2000 e che rappresenta, invece, un indicatore (marker) del “percolato” di discarica.
Quindi il percolato fuoriesce dalla discarica ed inquina la sottostante falda già a far data dall’agosto del 2000 e non, come sembrerebbe, un caso fortuito ed isolato quello che ha portato all’Ordinanza di chiusura della discarica.
Gran parte dell’allora processo si è sviluppato sulle modalità di “fuoriuscita” del percolato ed, in definitiva, nel chiedersi da dove esce? Qual è la fonte?
La Corte d’Appello ha riconosciuto che la progettazione del “pacco impermeabilizzante”, posto sul fondo della discarica, aveva seguito la normativa vigente essendo costituito da un metro di argilla compattata e sovrastata da un manto in HDPE da 2 mm. di spessore, a sua volta protetto da un tessuto e da sabbia; era impossibile che il percolato prodotto dalla discarica potesse uscire dal fondo in virtù del fatto che questo, per superare i due millimetri di “manto impermeabile” ci avrebbe impiegato almeno 6,3 milioni di anni!
Pur ipotizzando che il percolato avesse superato, per rotture del telo intervenute all’inizio della gestione della discarica, il manto plastico impermeabilizzante, avrebbe trovato il metro di argilla che, per superarlo, ci avrebbe impiegato almeno 3,2 anni, mentre l’inquinamento è stato rilevato solo 54 giorni dopo l’inizio dell’esercizio della discarica.
Ed allora, come oggi, da dove esce il percolato??
La risposta l’ho fornita nelle due udienze del processo (ben 12 ore di interrogatorio) riportando che il percolato poteva uscire dai “fianchi” della discarica che, pur avendo lo stesso sistema di impermeabilizzazione del fondo, essendo inclinati possono aver subito la rottura del manto per “punzonamento” dei rifiuti ammassati e la non adeguata compattazione dell’argilla sul fianco che ha prodotto preferenziali ed orizzontali vie di deflusso del percolato verso la sottostante falda.
Questa mia ipotesi è divenuta certezza nel momento in cui la Nubile, gestore della discarica, ha occluso totalmente il “pozzo di emungimento” del percolato del lotto 1 che, in qualche maniera, ove non fosse stato adeguatamente impermeabilizzato, avrebbe potuto costituire una via di fuga; ma, pur con questa efficace azione, la falda, monitorata dagli stessi pozzi prospicienti il lotto n. 1, risulta ancora contaminata evidenziando la continua perdita di percolato a distanza di quasi 15 anni.
E’ facile chiedersi per quale motivo si è atteso tanto fino ad indurre la Regione all’Ordinanza di chiusura della discarica per 30 giorni?
Nulla potrà cambiare fra 30 giorni nel momento in cui ARPA andrà a verificare lo stato di contaminazione della falda!!!
La Regione, con nuove analisi di analiti che superano le concentrazione limite, non autorizzerà la riapertura della discarica e ciò a danno sempre degli stessi Cittadini costretti a pagare (e chi sa per quanto tempo), oltre 20 € in più rispetto al conferimento del rifiuto biostabilizzato nella discarica di Autigno.
Oggi, rispetto al 31 agosto 2000, prima data di riscontro della contaminazione della falda, nulla è cambiato!!!
Eppure, nella funzione di “custode giudiziario” e su specifica richiesta della “Camera di Consiglio” del Tribunale di apportare eventuali migliorie ai lavori di “messa in sicurezza” della discarica, ho proposto e fatto realizzare, nel 2006, una “barriera idraulica sperimentale” che permettesse di prevedere la realizzazione di una “messa in sicurezza permanente” della sottostante falda.
Gli ottimi risultati ottenuti dalla sperimentazione, effettuata con la collaborazione di ARPA e Comune, hanno indotto lo scrivente a proporre allo stesso Comune di Brindisi la realizzazione di un sistema definitivo e permanente di “barriera idraulica” costituita da un emungimento in continuo delle acque di falda, da un successivo trattamento di bonifica e reimmissione delle acque depurate in falda (pump & treat).
Questa soluzione si basava anche sul fatto che la progettazione della discarica prevedeva anche la realizzazione di un impianto di “trattamento” del percolato che, invece, non è stato mai realizzato nella sua interezza e, di certo, mai utilizzato!
Ho insistito, nelle richiamate funzioni, che si realizzasse la “barriera idraulica” al punto da richiedere alla Regione Puglia un apposito incontro; il verbale del 15/12/2009, sottoscritto dal responsabile regionale Ufficio Gestione Rifiuti, da quello dell’Ufficio AIA, dal dirigente del Comune di Brindisi e dal direttore dei lavori, oltre che da me, riportava, testualmente: “ Per quanto attiene la proposta formulata dal custode giudiziario sulla “Realizzazione di una barriera idraulica per il prelievo e trattamento acque sotterranee…..”.
Nel verbale vi era un preciso impegno da parte dell’Ufficio AIA regionale ad esprimersi sulla documentazione che il Comune avrebbe dovuto mandare con, testualmente: “l’urgenza che il caso richiede”!
In effetti le mie insistenze, finalizzate a risolvere il problema che, fra l’altro non è stato inserito nell’AIA e quindi non è di competenza del gestore della discarica (Nubile srl), hanno solo sortito tutta una serie di nuovi incarichi professionali, affidati ai soliti noti, che non hanno prodotti nulla di quanto richiesto.
Il Comune non ha provveduto a realizzare quanto richiesto per la “messa in sicurezza permanete della falda” e la situazione è quella che oggi ci ritroviamo.
Aver disatteso gli interventi sulla falda contaminata è un fatto grave che pagano e pagheranno, con la TASI, tutti i Cittadini.
Quando, mi chiedo, incominceranno a “pagare” anche i vari responsabili comunali e regionali, tenendo fuori, questa volta la componente politica che ha ben altri compiti.