Il 25 novembre 2019, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, sarà ancora occasione per riflettere sulla loro situazione attuale, sempre più connotata da desiderio di protagonismo e di autodeterminazione ma anche dal contestuale obiettivo della difesa di conquiste e diritti civili sottoposti agli attacchi di una regressione culturale e politica generalizzata.

L’impegno di tutti sarà quello di favorire sempre più, processi di emancipazione, forti del convincimento che non possano esserci ulteriori processi di liberazione delle donne senza che sia implementata quotidianamente, una trasformazione anche degli attuali rapporti uomo/donna.

E dovrà essere il sistema-Paese, a tutti i livelli, a svolgere ruolo determinante, assumendo decisioni e condividendo progetti di sostegno sociale e finanziario alla presa di coscienza dei diritti civili e costituzionali ed alle conseguenti buone pratiche da mettere in campo, mediante il dialogo, la contrattazione e la corresponsabilità sociale.

La Cisl, quest’anno, con lo slogan “Tolleranza zero alle molestie e alla violenza sul lavoro” chiama la comunità a riflettere sul drammatico fenomeno della violenza contro le donne in tutte le sue espressioni, in linea con i principi ed i contenuti nella nuova Convenzione e Raccomandazione ILO (International Labour Organization) in materia, che tutto il sindacato internazionale ha sostenuto e promosso e che ora chiede alla politica di ratificare al più presto.

Dal femminicidio alla tratta e allo sfruttamento sessuale, dagli stereotipi di ordine culturale alla violenza e alle molestie nei luoghi di lavoro, la strada da percorrere è ancora lunga ma è una strada che stiamo attraversando con convinzione e dedizione ottenendo risultati positivi in termini di sensibilizzazione, orientamento dell’azione istituzionale, ascolto e presa in carico delle vittime che riconoscono nel sindacato e nella rete di sportelli che lo stesso sta strutturando su tutto il territorio nazionale una possibile via d’uscita dal buio della violenza.

Dati implacabili, infatti, evidenziati da Agenzie di ricerca, dicono sempre più di donne uccise, nella maggior parte dei casi purtroppo in famiglia (Eures).

Negli ultimi cinque anni il numero di donne che hanno subìto almeno una forma di violenza fisica o sessuale ammonta a 2 milioni 435 mila, l’11,3% delle donne dai 16 ai 70 anni. (Istat)

Quelle che hanno subìto violenza fisica sono 1 milione 517 mila (il 7%), le vittime della violenza sessuale sono 1 milione 369 mila (il 6,4%); le donne che hanno subìto stupri o tentati stupri sono 246 mila, (1,2%).

La violenza nelle relazioni di coppia, sempre negli ultimi cinque anni, ha riguardato il 4,9% delle donne (1 milione 19 mila), in particolare il 3% (496 mila) delle donne attualmente con un partner e il 5% (538 mila) delle donne con un ex partner. Considerando solo le donne che hanno interrotto una relazione di coppia negli ultimi 5 anni, la violenza subìta sale al 12,5%.

Oggi, nella democratica Italia, la persistenza di maltrattamenti, aggressioni, sfruttamento, molestie sul lavoro, femminicidi, caporalato, stalking ovvero comportamenti persecutori, minacce, pedinamenti, attenzioni indesiderate ecc. lungi dal doversi considerare fatti privati, può e deve essere intesa come occasione per una più approfondita presa di coscienza sia personale che sociale, a sostegno di vittime da rinfrancare dalla paura assicurando loro protezione, assistenza e reinserimento sociale.

La violenza contro le donne, ancora nel terzo millennio, porta a parlare, dunque, di un problema esteso in tutto il Paese, testimoniato anche dalle cronache che, al contempo, avvalorano la generalizzata consapevolezza che esso certifichi solo in minima parte quel genere di violenza che è quotidiana e più diffusa di quanto non si creda.

Se ne esce mantenendo i riflettori sempre accesi sui fenomeni richiamati, favorendo occasioni di incontro e confronto in luoghi professionalmente specializzati e socialmente certificati, diffondendo la cultura della prevenzione, del rispetto delle donne in quanto persone ed individuando percorsi sociali di aiuto alle potenziali vittime, di cui anche gli stessi uomini devono farsi carico.

Ancora oggi, ad esempio, conciliare il lavoro con la cura dei figli piccoli è un problema per più di un terzo di genitori italiani occupati che creano una famiglia e, a fronte di ciò, l’interruzione lavorativa per chi è occupato o, addirittura, il mancato inserimento nel mondo del lavoro, per motivi legati alla cura dei figli riguarda quasi esclusivamente le donne.

Taranto e Brindisi, emblema di città del Mezzogiorno sono ancora realtà territoriali in cui le donne incontrano ostacoli ed insidie con l’aggravante che né l’appropriatezza del welfare, né il sistema socio-sanitario, né investimenti pubblici specifici che spesso sono più bilancio di cassa anziché di competenza, possono essere considerati supporti credibili di un’azione mirata al loro compiuto affrancamento.

E sono le lavoratrici del Mezzogiorno, dove una donna su cinque deve scegliere tra figli e lavoro, quelle che ricorrono meno ai servizi sia pubblici che privati (asili nido, ludoteche, baby-sitter ecc., o perché inesistenti, o costano troppo o perché i posti risultano esauriti e, dunque, beneficiano di solidarietà familiari (nonni) o amicali.

Rimane indispensabile il ruolo educativo della scuola, di tutte le agenzie formative laiche e religiose, dell’ambito familiare, dell’associazionismo sia laico che religioso, del mondo della comunicazione, insieme con politiche sociali improntate all’ascolto e all’accoglienza, per consentire a quante siano vittime della violenza di genere di guardare al proprio futuro con la speranza di chi scommette di nuovo sulla propria felicità, senza più vincoli violenti.

Antonio Castellucci