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ROMA. Respingimenti di Malta: le testimonianze raccolte da MEDU confermano quanto emerge dalle inchieste

Nei giorni scorsi inchieste giornalistiche italiane e internazionali hanno fatto emergere una condotta delle autorità maltesi che viola apertamente gli obblighi previsti dalle convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare.

Tali inchieste e le successive indagini attualmente in corso si concentrano in particolare sui fatti avvenuti nei giorni intorno alla Pasqua, quando due gommoni sarebbero stati dirottati da parte di Malta verso le coste siciliane mentre l’omissione di soccorso nei confronti di un terzo gommone avrebbe portato alla morte di dodici migranti e al ritorno nelle prigioni libiche dei 51 superstiti in quella che è stata  denominata come la “strage di Pasquetta”.

Le testimonianze che il Team clinico di Medici per i Diritti Umani (MEDU) ha raccolto direttamente dai migranti giunti a Pozzallo la mattina del 12 aprile scorso confermano quanto sta emergendo dalle inchieste e dalle indagini. I migranti ascoltati hanno infatti confermato come la partenza del gommone con a bordo 101 persone, giunto a Pozzallo il giorno di Pasqua, sia avvenuta il 9 aprile dalle coste libiche a ovest di Tripoli per poi giungere nelle acque maltesi due giorni dopo. All’inizio a guidare la barca era un trafficante, salito a bordo con i migranti. Appena partiti, un gommone più piccolo con alla guida un secondo trafficante ha cominciato a seguirli e insieme hanno viaggiato per alcune ore. Il trafficante, con l’uso della forza e di minacce, ha poi costretto uno dei migranti a prendere la guida dell’imbarcazione per poi scendere, raggiungere il gommone più piccolo e ritornare verso la Libia. Nelle prime ore della mattina del 11 aprile le persone sul gommone vedono le coste maltesi ma un’imbarcazione presumibilmente militare con la scritta AFM (acronimo che significa “Armed Force of Malta”) li costringe a fermarsi. Alcuni dei migranti si spaventano e si buttano a mare, convinti che i militari li avrebbero riportati in Libia. Viene loro detto che a causa dell’epidemia di coronavirus non possono proseguire verso Malta ma devono dirigersi in direzione dell’Italia. Fino al pomeriggio inoltrato la situazione non si sblocca e i migranti rimangono fermi in mare, sempre con le coste di Malta sullo sfondo. Finalmente, dopo aver fornito il carburante ed anche un motore nuovo visto che il precedente aveva smesso di funzionare, il natante viene per breve tempo scortato in direzione delle coste siciliane. Tutte queste operazioni, incluso la sostituzione del motore e il rifornimento di carburante, sarebbero state svolte da uomini vestiti di scuro, tutti uguali, che si sono avvicinati al gommone su due-tre imbarcazioni più piccole staccatesi dalla nave più grande con la scritta AFM. I migranti raccontano anche di avere ricevuto dei biscotti e uno strumento per mantenere la rotta verso l’Italia. I presunti scafisti individuati dalle forze dell’ordine italiane dopo lo sbarco a Pozzallo, scafisti dunque forzati, secondo le testimonianze raccolte, che mai prima avevano guidato un’imbarcazione, sono ora sottoposti ad indagine e probabilmente subiranno un processo.

Da Malta è giunta in questi giorni  la notizia che il giudice Joe Mifsud ha archiviato le imputazioni nei confronti del premier e delle forze armata maltesi relativamente alla strage di Pasquetta e ai respingimenti verso l’Italia. La vicenda dei soccorsi nel Mediterraneo centrale coinvolge comunque anche il nostro Paese il quale, tramite il memorandum Italia – Libia del 2017, continua a collaborare con un governo impotente e complice di gravi e ripetute violazioni dei diritti umani (si veda il rapporto La Fabbrica della Tortura https://mediciperidirittiumani.org/la-fabbrica-della-tortura-rapporto/ diffuso da MEDU a marzo di quest’anno).

MEDU torna a chiedere con forza che fattori quali la pandemia Covid-19 e le politiche migratorie degli Stati membri dell’Unione Europea non siano di ostacolo per l’immediato soccorso e l’offerta di un porto sicuro alle imbarcazioni di migranti in fuga dalle prigioni libiche e dalla guerra civile attualmente in corso.

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