Il potere del correntista di chiedere alla banca di fornire la documentazione relativa al rapporto di conto corrente tra gli stessi intervenuto può essere esercitato, ai sensi dell’art. 119, comma 4, TUB (D.Lgs. n. 385 del 1993), nel limite di 10 anni a seguire dalla chiusura dei rapporti interessati anche in sede giudiziaria, non potendosi ritenere corretta una soluzione che limiti l’esercizio di questo potere alla fase anteriore all’avvio del giudizio.
Il principio risulta affermato da Cass. civ., Sez. VI – 1, Ord., (data ud. 08/10/2019) 11/03/2020, n. 6975 che ha ulteriormente precisato che “la disposizione dell’art. 119, si pone tra i più importanti strumenti di tutela che la normativa di trasparenza, quale attualmente stabilita nel testo unico bancario vigente, riconosce ai soggetti che si trovino a intrattenere rapporti con gli intermediari bancari. Con tale norma la legge dà vita a una facoltà non soggetta a restrizioni (diverse, naturalmente, da quelle previste nella stessa disposizione dell’art. 119); e con cui viene a confrontarsi un dovere di protezione in capo all’intermediario, per l’appunto consistente nel fornire degli idonei supporti documentali alla propria clientela, che questo supporto venga a richiedere e ad articolare in modo specifico”.
Risulta, quindi, consolidato l’indirizzo giurisprudenziale in virtù del quale “il titolare di un rapporto di conto corrente ha sempre diritto di ottenere dalla banca il rendiconto, ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119 (TUB), anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell’esistenza del rapporto contrattuale, non potendosi ritenere corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto di cui all’art. 210 c.p.c., perchè non può convertirsi un istituto di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione del medesimo, trasformando la sua richiesta di documentazione da libera facoltà ad onere vincolante” ( cfr., tra le tante, Cass. civ., Sez. I, Ord., 24/05/2019, n. 14231; Cass., Sez. VI-I, 8/02/2019, n. 3875).
(Avv. Vincenzo Vitale)