Il 6-7 agosto 2020 si sono verificate piogge copiose, di gran lunga superiori ai massimi storici registrati dalla rete pluviometrica, nel bacino della valle del fiume Fortore.
Una cellula meteorica estesa e persistente con precipitazioni a prevalente carattere di temporale hanno portato al superamento dei livelli di guardia dei corsi d’acqua conseguente alla persistenza di precipitazioni in quella che rappresenta la rete di scolo dei canali di Lesina e la parte alta del Torrente Candelaro. Un’ allerta giallo-arancione per rischio idrogeologico, idrogeologico per temporali, idraulico diramata dalla Protezione civile Puglia ha riguardato sistemi idraulici complessi con bacini estesi ed interessati da intense trasformazioni dell’originario assetto idrogeomorfologico anche della parte pedemontana.
Il territorio della regione Puglia, in sostanza, in tutte le stagioni mostra la sua fragilità ed esposizione alla pericolosità idrogeologica e come ci hanno testimoniato le cronache di questi giorni non ne è immune il territorio della Capitanata, anzi.
E il mondo delle professioni tecniche, specie quella dei geologi, lancia pertanto un monito consapevole della necessità di cambiare rotta per evitare di continuare a subire inermi il perpetrarsi dei danni causati da eventi simili, benché estremi.
Quello che occorre fare, evidenzia l’Ordine dei geologi della Puglia (Org), è ripensare la difesa del suolo nel suo complesso prevedendo un approccio multidisciplinare con stanziamenti non più straordinari ma con poste ordinarie in bilancio, individuare le strutture tecniche presenti sul territorio a cui affidare la manutenzione delle opere realizzate, assicurare percorsi certi sulle istruttorie dei progetti, superare la anacronistica gestione commissariale del dissesto idrogeologico. Ma ancor prima va individuata negli organi tecnici della Regione la sede presso cui far ruotare l’iter di pianificazione, programmazione e controllo degli interventi per la difesa del suolo potenziando gli uffici con professionalità specifiche (geologi, forestali, etc.). Necessaria la riprogrammazione della mitigazione del rischio idraulico ed idrogeologico a scala di bacino idrografico e non con interventi spot, spesso senza nessuna connessione fra loro. Un lavoro che implica l’urgenza di studiare i bacini idrografici, monitorare le aste torrentizie ed i versanti e programmare la spesa su dati certi.
Perché in una Italia geologicamente fragile, il rapporto “ Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio” – Edizione 2018 dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) a livello nazionale evidenzia come su 7983 comuni ben 7275, ovvero il 91%, presentino nel proprio territorio superfici a pericolosità idraulica e a rischio frane, ma non solo, anche il “ Rapporto sul Rischio posto alla Popolazione italiana da Frane e Inondazioni” del Consiglio nazionale delle ricerche – Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (Cnr-Irpi), in merito a frane e inondazioni mostra come dal 2000 al 2018 ci siano stati 417 morti, 21 dispersi, 679 feriti, e 159.184 evacuati e senzatetto, anche a scala regionale risulta necessario rivedere i vari livelli di pianificazione del territorio adottando regolamenti per la riduzione del consumo di suolo, ridando spazio alle pertinenze idrauliche ed alle aree costiere.
Una riorganizzazione dell’intero comparto che diversamente continuerà a renderci spettatori impotenti di eventi calamitosi e questo con notevole dispendio di risorse ed energie se non peggio con la regolare perdita di vite umane.