Come riportato nello studio su Vo’ pubblicato a giugno su Nature (1), la trasmissione del virus da asintomatici e presintomatici è una chiara sfida per il controllo della diffusione del COVID-19 in mancanza di un rigoroso mantenimento del distanziamento sociale e di misure di sorveglianza epidemiologica realmente capaci, ad esempio, di tracciare i potenzialmente esposti e isolare i contagiati.
Per spezzare la catena di trasmissione del virus risulterebbe quindi cruciale da una parte poter effettuare tamponi ai casi sospetti, in quanto con sintomi suggestivi, e d’altra parte poter tracciare e testare i casi asintomatici sospetti, perché risultati essere stati a contatto diretto con caso accertato di COVID-19.
La capacità di testing e tracciamento a livello regionale risulterebbero pertanto fondamentali.
Sotto tale aspetto già ad aprile scorso il responsabile del coordinamento epidemiologico della regione Puglia considerava un buon obiettivo una ricerca dei positivi con criteri allargati tale da ridurre il loro tasso, all’epoca pari al 5%, per mezzo dell’estensione del numero dei tamponi. (2). Ciò avrebbe implicitamente comportato una maggior ricerca dei positivi fra gli asintomatici e per tale via consentito la riduzione di una loro involontaria trasmissione del virus nella popolazione. Il tasso di positività è però anche nei primi 21 giorni di ottobre rimasto ai medesimi livelli di aprile (4,9%).
Si è consci che la ricerca a tappeto del virus nella popolazione mediante tamponi sia realisticamente impercorribile e che la finalità dell’esame sia invece quella di fare diagnosi nei casi sospetti; viceversa, del resto, i falsi positivi potrebbero aumentare a dismisura.
Ma l’atteso arrivo dell’autunno e di raffreddori e influenze stagionali pone un ulteriore carico di casi sospetti da testare e i limiti effettivi della capacità regionale, attuali e a breve, di effettuare tamponi andrebbero dichiarati esplicitamente così come i giorni di attesa che attualmente il sistema sanitario regionale accusa fra la richiesta di effettuare il tampone e il giorno di somministrazione dello stesso; viceversa si teme che un limite inadeguato della capacità di testing possa essere un volano in Puglia per la diffusione incontrollata del COVID-19.
Del resto la politica di testing appare radicalmente diversa, ad esempio, fra Emilia Romagna e Puglia; nei primi 21 giorni di ottobre in Puglia sono stati eseguiti 2.319 tamponi per 100.000 residenti e in Emilia Romagna il dato è 2,3 volte superiore.
E la maggiore numerosità di tamponi eseguiti settimanalmente in Emilia Romagna è peraltro aumentata nel corso del mese, passando da circa 70 mila tamponi (1.144 positivi) nei primi 7 giorni di ottobre a circa 90 mila tamponi nella settimana che va dal 15 al 21 ottobre (3.894 positivi). In Puglia invece dagli 833 positivi su 26.160 tamponi dei primi 7 giorni di ottobre, nella settimana 15-21 ottobre appena conclusasi è stato possibili individuare 2.161 positivi essendo stati eseguiti 34.516 tamponi.
La ridotta capacità pugliese di effettuare tamponi, che si attestava in 2.500 al giorno in maggio (3), non sembra essersi ampliata radicalmente: il massimo di tamponi giornalieri si attesta sui 5,8 mila ancora ad oggi, pari a 15 per 10.000 residenti (17,2 mila in Emilia, pari a 38 per 10.000 residenti).
Il ridotto numero di tamponi eseguiti settimanalmente in Puglia trova peraltro in ottobre un minimo giornaliero nei test effettuati nelle domeniche (il giorno successivo il numero di tamponi più che raddoppia); tale circostanza potrebbe derivare dal personale dedicato e messo in campo, considerando che l’agire del virus e la conseguente domanda di tamponi non è atteso abbia fluttuazioni legate a giorni festivi.
Un ulteriore aspetto che può limitare l’efficacia delle politiche di contenimento dell’epidemia in Puglia deriva dalla ridotta diffusione dell’App Immuni in Puglia (4): al 30 settembre risulterebbe installata sul 10,9% degli over 14, rispetto ad una media nazionale del 12,5% (15,5% in Emilia Romagna).
Non solo, per come pubblicato il 16 ottobre scorso (5), in Puglia vi sarebbero 546 persone addette al contact tracing, ovvero 1,4 ogni diecimila residenti (7,6 in Basilicata; 2,8 in Veneto).
La minor diffusione dell’app Immuni e la minor dotazione di personale addetto al tracing porrebbe la Puglia quindi in una situazione di partenza di maggiore difficoltà nel contrasto della diffusione del virus, che potrebbe porre la necessità che la stessa possa occorrendo chiedere ulteriore supporto di personale statale (se del caso anche militare).
Infine il recente provvedimento pugliese di sospensione delle attività didattiche in presenza degli ultimi tre anni delle scuole superiori dal 26 ottobre al 13 novembre (6) si pone come un provvedimento non supportato adeguatamente da evidenze condivise con la cittadinanza. Si ignorano infatti quali circostanze oggettive abbiano indotto a considerare che tale specifica fascia di popolazione sia stata e in quale misura responsabile della diffusione del Covid-19 nella popolazione, se non l’addotta generica considerazione del Dipartimento di Promozione della Salute, che avrebbe accertato (come e quando non è dato sapere) che il maggior incremento della diffusione del predetto virus è correlato al notevole aumento dell’utilizzo dei mezzi pubblici registrato in concomitanza con l’apertura delle scuole. E sorprende come, se la problematica fosse tutto insita all’affollamento dei mezzi pubblici, non vi fosse altra misura di mitigazione del rischio.
Sulla capacità pugliese, attuale e prospettica, di effettuare un adeguato numero di tamponi nei giorni sia lavorativi che festivi, sul personale dedicato al tracciamento, e sulle campagne informative volte a favorire la diffusione dell’App Immuni chiediamo pertanto ai responsabili della sanità regionale di esprimersi per chiarire come intendono operare di modo che testing e tracing siano adeguati da un punto di vista quantitativo e qualitativo scongiurando ordinanze emergenziali.