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Era il 4 maggio.
Il Comitato 16 Novembre richiedeva al Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che venissero eseguiti i tamponi agli operatori sanitari impegnati nell’ADI, Assistenza Domiciliare Integrata, con cadenza quindicinale, al fine di tutelare il più possibile i malati gravissimi e le loro famiglie e preservarli da probabili contagi portati nelle abitazioni da operatori asintomatici.
Ad oggi, 14 Novembre con 1.300 contagi giornalieri in media, la nostra richiesta non è stata presa in considerazione e ci ritroviamo con operatori ai quali non solo non vengono effettuati i tamponi con cadenza periodica, ma non hanno nemmeno DPI a sufficienza, che da ordinanza regionale dovrebbero essere obbligatori, per proteggere sé stessi, i propri pazienti e le famiglie che li accolgono in casa.
Ogni giorno riceviamo richieste di intervento in merito a questi drammi delle famiglie.
Sperando serva a riflettere su quale sia lo stato d’animo delle famiglie che rappresentiamo, vi riportiamo l’amaro sfogo di una nostra associata, la Sig.ra Annalisa Barletta di Ceglie Messapica (BR), di 42 anni, affetta da SLA, mamma di 3 bambini, che è seriamente preoccupata per sé e per la propria famiglia, considerando che ha 3 bambini piccoli da proteggere.
“Buongiorno,
sono Annalisa Barletta da Ceglie messapica, 42 anni con tre bambini piccoli e con Sla.
Sono immobile e respiro con il supporto di una macchina.
Vi denuncio uno scenario già da voi conosciuto..
Ma ben tenuto coperto..
Noi pazienti assistiti da questa strana ADI. Gestita da una cooperativa che ha tre nomi.
Non ha personale.
Non controllava fino a ieri (dopo infinite segnalazioni) le infezioni da Covid.
Ora si rifiuta di eseguire come prevede la normativa, il tracciamento dei contagi omettendo in questo modo di avvisare pazienti e familiari di essere stati probabilmente contagiati.
Io stessa e la mia famiglia stiamo vivendo in questa angoscia.
Ora ci domandiamo:
Come può avvenire tutto questo, con il vostro consenso??
In attesa di una risposta
Porgo distinti saluti”.
Questo lo sfogo di Annalisa, un’ammalata, fra tante come lei, che si ritrova in una situazione di vero terrore.
Voler vivere nonostante la grave patologia da cui è si è affetti e non essere messi in condizione di poterlo fare.
Ricordiamo, oltretutto, le centinaia di richieste al giorno in merito alla sospensione dell’erogazione dell’Assegno di Cura, fermo al al 31 luglio scorso, ridotto di € 100 al mese rispetto allo scorso anno, e rinominato dal precedente assessore regionale al Welfare, “contributo Covid”.
A malincuore non possiamo che constatare che, anche in una grave emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo in questo periodo, i malati gravissimi restano sempre ultimi, anzi lo sono ancor di più e, puntualmente, vengono disattesi i principi di uguaglianza e tutela alla salute che restano soltanto belle parole.
Auspichiamo che Annalisa riceva delle risposte a garanzia del suo stato e che alle famiglie dei disabili gravi-gravissimi e ai loro operatori vengano forniti immediatamente tutti gli strumenti necessari per garantire un supporto “sicuro e dignitoso” alle persone di cui si prendono cura.
Non vorremmo mai che la carneficina registrata nelle Rsa a marzo, venga registrata ora nelle abitazioni private dei disabili di tutta Italia perchè sarebbe un errore imperdonabile ed inaccettabile.
Il Governo sta spingendo, in questo momento, per le cure domiciliari per i pazienti colpiti dal Covid.
Noi siamo in cura domiciliare da sempre e ci aspettiamo massima attenzione, sempre.