Il porto continua ad essere al centro del confronto e dello scontro a Brindisi.

Da un lato, è stata annunciata l’individuazione di due zone franche nell’area di Capobianco e di Costa morena, e dall’altro si continua a sostenere la realizzazione di opere portuali e di un deposito costiero di Gnl che rappresenterebbero una grave interferenza con le attività marittime, di scambio intermodale e di utilizzo soprattutto dell’area occupata dall’Enel (CHE DEVE ASSUMERE L’ONERE DELLA BONIFICA)  che è stata trasformata in Zona Franca oltre ad un grave impatto ambientale.

Il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale, Ugo Patroni Griffi, ha affermato di doversi imporre la riservatezza, ma ha anticipato l’interesse di una società internazionale, specializzata negli investimenti nelle zone franche e nella logistica, a verificare la possibilità di un proprio investimento a Capobianco che, presumibilmente e auspicabilmente,  si faccia carico delle opere di banchinamento, di dragaggio e di creazione dei servizi logistici necessari. Non vengono affatto precisate le attività portuali e retroportuali da collocare in quella zona franca.

E’ stata annunciata la costruzione di un pontile a bricole che si aggiungerebbe al pieno recupero funzionale del molo oggi occupato dalla movimentazione del carbone. In tale contesto si continua a prospettare la realizzazione di un’immensa colmata a Costa Morena est che comporta l’escavazione dei fondali fino a -27 metri rispetto al livello del mare e di un deposito costiero di GNL (Edison), creando un evidente contrasto, anche a causa del vincolo su 300 metri di banchina, con la movimentazione marittima di merci con il trasferimento sulla linea ferroviaria appena ultimata e con lo stoccaggio di merci ed il complessivo utilizzo della nascente zona franca di Costa morena. E a proposito della colmata ci chiediamo come sia possibile al giorno d’oggi pensare ancora di usare aree del porto come discariche restringendo oltretutto gli spazi acquei ritenendo questa modalità concettualmente datata e non più in linea coi tempi e irrispettosa verso un territorio come il nostro che ha già subito gravi forme di inquinamento. I sedimi inquinati dei dragaggi devono essere bonificati e resi inerti per un loro conferimento in discarica o per altro uso, così come indicato anche dall’art. 184 quater del Decreto Legislativo 152/2006 (s.m.i.) che riguarda l’utilizzo dei materiali di dragaggio nei Siti di Interesse Nazionale per le bonifiche (SIN).

Al di là della evidente lontananza della posizione delle scriventi Associazioni in merito al futuro del porto rispetto a quanti sostengono interessi imprenditoriali legati solo ad appalti e subappalti in passato prodotti dal carbone e non all’affermazione di una cultura di impresa, ciò che abbiamo sempre chiesto sono procedimenti trasparenti e rispettosi delle leggi.

In merito alle opere portuali nessuno pensi di poter «tranquillamente» risolvere gli evidenti problemi trasferendo in prescrizioni ciò che è condicio sine qua non per un limpido e giuridicamente corretto giudizio di compatibilità ambientale. Ci riferiamo soprattutto alla validazione di soggetti tecnici pubblici, quali l’Arpa, delle caratterizzazioni dei sedimenti da dragare sui fondali marini di S. Apollinare che non può avvenire ex post, ma che per legge deve avvenire su analisi fatte in loco in contradditorio e su maglia stretta; anche le prospezioni archeologiche e la geolocalizzazione dei reperti devono precedere e condizionare qualsiasi giudizio di compatibilità, così come la valutazione di incidenza ambientale e quella ambientale idrogeologica sulla colmata.

In merito al deposito costiero, ricordiamo che è previsto l’approdo di una gasiera ogni settimana e la movimentazione e lo stoccaggio di GNL in un’area particolarmente delicata e vulnerabile, tanto più in previsione dello sviluppo commerciale e logistico portuale e retroportuale, già previsto nel documento programmatico preliminare del Pug approvato in Consiglio comunale nell’agosto del 2011 (sorprende che qualche consigliere comunale non ne conosca l’esistenza e il contenuto). Un’operazione così rischiosa e così foriera di rischi di incidente rilevante ed interferente rispetto allo sviluppo commerciale del porto e della zona franca di Costa morena verrebbe giustificata dall’alimentazione di poche navi e per circa il 75% della capacità del deposito dalla continua e pericolosa alimentazione di auto cisterne destinate a rifornire stazioni di servizio di Gnl. Il paradosso è che ciò avviene in un’area industriale che ha una sovrabbondanza di disponibilità di gas metano, nella quale, però, vari insediamenti imprenditoriali non sono forniti di allacci alla rete di distribuzione del metano.

E’ da tempo che sul deposito costiero chiediamo la realizzazione di uno studio di fattibilità su diversi siti possibili: lo studio di fattibilità è quello strumento che, preteso dalle Associazioni e dall’allora Sindaco Mennitti, portò a far emergere l’opzione zero (non realizzabilità tecnica dell’opera) del gasdotto Tap a Brindisi. E’ la legge che prevede lo studio di fattibilità e chi vuole aggirarlo e ancor peggio arriva a prospettare una capacità di stoccaggio di 19.950 metri cubi equivalenti, per eludere l’obbligo della Via nazionale prescritta dai 20.000 metri cubi in su, deliberatamente sta violando o consente di violare la legge, assumendosene pienamente la responsabilità, configurabile anche in sede penale.

Continuiamo a chiedere un confronto trasparente e nel rispetto della legge a chi ha il dovere di decidere e di garantire procedimenti chiari e scientificamente inoppugnabili, in caso contrario venendo costretti a rivolgerci all’autorità giudiziaria.

 

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