Le accuse all’ambientalismo di ostacolare il dispiegarsi dell’attività imprenditoriale e industriale sono frequenti nonostante le crisi ambientali e sanitarie siano sotto gli occhi di tutti e ci si interroghi a tutti i livelli su transizioni ecologiche e modelli di sviluppo sostenibile.
Si è persino ipotizzato che le campagne di opinione critiche sui temi in discussione, come il deposito costiero di gas e la riconversione a metano della megacentrale di Cerano, possano persino configurarsi come reati e ostacolare un diritto all’iniziativa imprenditoriale ritenuto di primaria ed assoluta rilevanza costituzionale. A tal proposito è bene rammentare che la Carta Costituzionale tutela anche il diritto al lavoro e alla salute dei cittadini, il patrimonio ambientale e paesaggistico. Non anteponendone uno rispetto ad un altro ma ponendoli tutti, ovviamente, sullo stesso piano. Ed ancora, vivere in uno Stato di diritto vuol dire che tutti i pubblici poteri, nonché gli operatori economici devono agire entro il perimetro della legge ed essere assoggettati al controllo di organi giurisdizionali.
Eppure non sembra affatto che l’industria a Brindisi, se guardiamo alla storia dalla seconda metà del secolo scorso ad oggi, non abbia operato con grande libertà nel nostro territorio. Le poche interruzioni delle attività a causa degli interventi della magistratura sono state conseguenti ad esposti dei movimenti ambientalisti così come i miglioramenti introdotti negli impianti sono stati il frutto di battaglie condotte dal basso (la copertura del carbonile).
Continuare ad accreditare nel momento di crisi attuale la narrazione di un ambientalismo che ostacola lo sviluppo ci sembra anacronistico e alquanto fuorviante.
Non dimentichiamo che Brindisi è dal 2000 per legge un Sito di Interesse Nazionale per le bonifiche e che il risanamento delle falde sarà un’opera che richiederà un numero imprecisato di decenni. Questa situazione non è imputabile agli ambientalisti ma è un dato di fatto attribuibile ad una certa conduzione delle produzioni industriali.
Nello stesso Sito insiste l’area di Micorosa che non è una discarica ma un terreno di 44 ettari, peraltro all’interno di un Parco Naturale, dove per decenni sono stati sversati senza alcuna protezione i rifiuti tossici, alcuni anche cancerogeni, delle produzioni petrolchimiche.
Il sequestro da parte della Procura della Repubblica di Brindisi degli impianti della Polimeri Europa il 20 ottobre del 2010 giunse a conclusione di una autonoma indagine della magistratura.
Il processo per la dispersione della polvere di carbone dal nastro trasportatore e dal carbonile è partito per le denunce degli agricoltori. Il filone del danno sanitario di questo procedimento non è poi stato portato avanti da parte dei magistrati inquirenti. Tutti ricorderanno gli innumerevoli episodi di “uva al carbone” e di allagamenti dei campi a monte del nastro trasportatore.
Di queste attività economiche, che negli anni hanno modificato le condizioni naturali del territorio ove insistevano e che in alcuni casi ne hanno determinato la compromissione sino alla falda più profonda (vedi Microrosa), nessuna ha mai risposto né penalmente né civilmente verso la collettività tutta, sebbene le norme sulla responsabilità da parte di chi inquina siano chiare e prevedano obblighi di bonifica mai rispettati.
Così come, a differenza di Porto Marghera, a Brindisi non c’è stato un processo per le morti del petrolchimico causate dal cloruro di vinile monomero e a differenza di Mantova il processo per le morti da amianto si è concluso con assoluzioni.
L’ordinanza nel 2007 del Sindaco Mennitti, che vietava la coltivazione nei pressi del nastro trasportatore, ha colpito più l’agricoltura che l’industria.
La denuncia presentata nel 2014 dai malati di leucemia e linfomi residenti intorno al petrolchimico, pur avendo anticipato di tre anni le risultanze dello “studio Forastiere” che attribuiva numeri precisi di malattie e decessi ad alcune emissioni industriali, non ha avuto ad oggi nessun seguito giudiziario, come ci hanno ricordato gli interessati proprio in questi giorni. E lo stesso “studio Forastiere”, commissionato dalla Regione Puglia nel 2013 dopo una raccolta popolare di 10.000 firme nel brindisino, molto dettagliato e inequivocabile (anche se stranamente silente sullo stato della salute materno infantile) non ha prodotto nessun effetto sul piano concreto se persino l’AIA di Versalis è stata rinnovata qualche settimana fa senza una previsione certa di un monitoraggio delle emissioni degno di questo nome (e che quindi finora non c’è mai stato).
Anche lo studio prodotto da ricercatori del CNR sull’impatto sanitario delle emissioni di Cerano pubblicato nel 2015 non ci pare abbia intralciato minimamente la produzione energetica da fossili.
Questo breve e lacunoso excursus di storia industriale e di storia giudiziaria ambientale narra una verità completamente diversa da quella che si vorrebbe tratteggiare per favorire qualsiasi investimento purché sia. Il ridimensionamento del polo industriale di cui patiscono le conseguenze localmente solo l’indotto ed i lavoratori della nostra area (le multinazionali hanno trasferito altrove le loro produzioni o diversificato i loro investimenti) non è dovuto agli ambientalisti ma al “mercato” od alla “capacità” di saper fare impresa da parte dei soggetti economici presenti sul nostro territorio, di cui i detrattori di ogni ambientalismo non smettono di tessere continuamente le lodi.
Inoltre la pretesa di uno statuto “speciale” che si è pure avanzata in questi giorni per le imprese, che a differenza dei comuni cittadini potrebbe essere oggetto di denuncia solo a particolari condizioni, oltre ad essere molto probabilmente incostituzionale, cela una visione del diritto all’impresa anch’esso estraneo alla nostra Costituzione che all’art. 41, giova forse ricordarlo, recita: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”
Se non si concertano i fini sociali di ogni produzione difficilmente si potranno evitare i danni alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana che hanno caratterizzato il passato.
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