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BRINDISI.Nuovo Teatro Verdi.«STOC DDÒ», SARA BEVILACQUA DÀ SCENA ALLA FORZA DI UNA MADRE

Un pezzo di teatro civile nella storia di «Brindisi in Scena», la rassegna in programma nel Nuovo Teatro Verdi di Brindisi con le nuove produzioni delle compagnie della città. Prossimo appuntamento sabato prossimo 26 giugno, sipario ore 18.30, con «Stoc ddò – Io sto qua», spettacolo di Meridiani Perduti per la drammaturgia di Osvaldo Capraro, la regia e l’interpretazione di Sara Bevilacqua.


L’appuntamento è organizzato con il sostegno dei fondi regionali destinati al piano straordinario per la cultura e lo spettacolo «Custodiamo la Cultura in Puglia» e la partecipazione del main sponsor Enel, dei sostenitori Intesa San PaoloConfindustria Brindisi ed Ance Brindisi. Prezzi: 10 euro5 euro ridotto bambini fino a 12 anni. Durata: 60 minuti.

Per l’occasione saranno osservate le regole del protocollo per il contrasto della diffusione del Covid-19. I biglietti sono disponibili sul circuito online Vivaticket (tinyurl.com/38stxvdu) e presso il botteghino del Teatro, aperto al pubblico dal lunedì al venerdìdalle ore 11 alle 13 e dalle 16.30 alle 18.30Sabato 26 giugno, giorno dello spettacolo, dalle ore 11 alle 13 e a partire dalle 17.30Info 0831 562 554 e www.nuovoteatroverdi.com.

Ci sono eventi che sconvolgono, che hanno tutta la forza per segnare svolte finali, per piegare il corso del destino. Come la morte di un figlio, al centro del nuovo lavoro di Meridiani Perduti. Ma la morte di Michele Fazio ha anche i connotati di una storia, di un dramma che supera i confini della famiglia. E contamina l’intera società di quelle domande che hanno a che fare con lo stato della civiltà, del senso comune, della capacità di essere prossimi senza offendere o invadere, del mettere la coscienza prima del sangue. Michele Fazio era un ragazzo barese di quindici anni che amava la vita. Sognava di diventare un carabiniere. Amava la musica, giocare a calcio con i suoi amici per i vicoli di Bari Vecchia. La sua vita fu spezzata il 12 luglio del 2001, mentre tornava a casa dopo una serata con gli amici, per cenare con la sua famiglia. Furono attimi: si sentirono degli spari, tutti fuggirono lasciando il vuoto, lasciando il ragazzo solo riverso per terra. 

L’incontro con quella traiettoria maledetta. Un proiettile destinato a un affiliato al clan rivale che s’imbatte nella vita di un ragazzo spazzando in un attimo progetti e slanci. Vittima innocente della mafia, diranno poi le carte processuali. Quelle che avrebbero portato alla sbarra gli artefici di una faida che per anni ha fatto la storia degli affari criminali, straziando fascino e bellezza della città vecchia. Tragedie come la morte di Michele lasciano ombre laceranti nella famiglia, un bivio che può far sprofondare nella voragine del rancore e dell’odio o, per converso, indicare il senso della redenzione. Pinuccio e Lella, padre e madre di Michele, hanno avuto la forza di trasformare la rabbia in azione civica di giustizia e di legalità, in una testimonianza forte e vera che non batte il sentiero della vendetta, che li porta spesso a parlare ai ragazzi delle scuole. Lo spettacolo è la voce di Lella, che Sara Bevilacqua, sola sul palcoscenico, interpreta in tutte le possibili declinazioni, dalla gioia alla disperazione, dallo sconforto al coraggio, dall’abbandono al riscatto. Tutte intrecciate con lo stesso filo, la forza di una donna e madre che non ha mai chinato il capo lanciando il guanto di sfida contro la criminalità e i suoi peggiori derivati, l’omertà e l’indifferenza. Lella è sempre rimasta lì, al suo posto, in quella palazzina di largo Amendoni nel cuore vivo di Bari Vecchia, “Stoc ddò”, con l’uscio aperto e le finestre spalancate a fare, senza paura e senza resa, da contraltare al cerchio chiuso della malavita.

«Ho rivisto Osvaldo Capraro dopo diversi anni – ha raccontato Sara Bevilacqua – e con l’aiuto di Francesco Minervini ci siamo messi sulle tracce di questa straordinaria e sfortunata famiglia. Il primo incontro, a casa di Lella e Pinuccio, è stato un vortice di emozioni vissuto con empatia, la verità del dolore che Lella attraversava come un fiume in piena. Mi ha subito colpito la forza di questa donna, incrollabile in tutti momenti di una narrazione drammatica, dall’infanzia all’epilogo di una vita spezzata per un maledetto errore. Era facile scavare la trincea dell’ostilità, invece lei e Pinuccio hanno saputo ritagliare nel borgo antico un’isola di civiltà allargandone ogni giorno i confini. In nome di Michele e di tutti i ragazzi il cui futuro è anzitutto un diritto. In perfetto accordo con l’esortazione di don Ciotti che si è speso perché rimanessero nel quartiere, dove sono nati e cresciuti, come due portatori sani di civiltà, senza recedere di un millimetro sul loro percorso. Lella e Pinuccio oggi sono due educatori, e la necessità di portare un vento buono tra i più giovani è partita dal perdono dell’esecutore materiale, un ragazzo che, a distanza di vent’anni, può prendere in consegna anche i sogni di Michele. Ma perché il vento buono porti beneficio e aria nuova è necessario che le finestre di ogni casa rimangano aperte. Il male si diffonde nel chiuso guasto delle coscienze».

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