Forum Ambiente e Sviluppo.BRINDISI: POLITICHE PER L’INFANZIA E L’ ESTERNALIZZAZIONE DEI BENI COMUNI
L’ultima delle ricorrenti graduatorie del Sole24ore parla ancora del Sud e di Brindisi collocandoli nella parte bassa della classifica sulla qualità della vita per fascia di età ed evidenziando che i “posti negli asili nido sono molto pochi se si considera che la provincia di Brindisi, con 15,4 posti ogni 100 abitanti 0-3 anni, si colloca all’81esimo posto”. Queste classifiche avranno certamente dei limiti nei parametri che prendono in considerazione ma sono sempre concordi nel rilevare differenze tra il nord ed il sud del paese senza nessuna riduzione della forbice nel corso degli anni tanto da far dubitare della attenzione che i decisori politici riservano a simili analisi e di una reale volontà politica per invertire la storica tendenza negativa.
La classifica in questione viene pubblicata in un momento in cui proprio a Brindisi si sono assunte decisioni sulla gestione degli asili nido che hanno sollevato molte polemiche. E anche alla luce di questa graduatoria l‘esternalizzazione del servizio di asilo nido da parte del Comune di Brindisi merita una riflessione politica. Si tratta di circa 250 posti per mamme che necessitano di aiuto per continuare a lavorare dopo aver messo al mondo un figlio. La creazione di una robusta rete di sostegno alla maternità è una condizioni essenziale per garantire il diritto al lavoro e quello delle donne in particolare. Ora, il Comune di Brindisi ha deciso di affidarsi ad una azienda esterna che in parte utilizzerà personale di un precedente appalto, un mix di contratti precari e a tempo indeterminato.
Le giustificazioni addotte dall’amministrazione sono state :
- a) così si risparmia 1,4 milioni all’anno che sono “ossigeno” per riemergere dal pre-dissesto economico;
- b) così fanno ormai tutti i Comuni;
- c) se non si dà in concessione gli utenti non beneficiano dei bonus regionali o Inps;
- d) la concessione consente maggiore “flessibilità” per adattare il servizio alle esigenze dell’utenza.
Uno dei risultati certi per ora sarà che la retta salirà ad almeno a 500€ al mese e che i beneficiari dei bonus prima dovranno pagare e poi saranno rimborsati ma non sappiamo per quanto tempo.
Si risparmieranno 1,4 milioni delle casse Comunali ma ci chiediamo se la riduzione delle disuguaglianze sociali non meriti di essere una priorità e se risparmi non si debbano fare piuttosto su altre voci. Anche perchè la perdita di servizi che rappresentano un vero e proprio sostegno ai redditi avrà poi un effetto negativo sulla ricchezza complessiva. Come quando non ci si riesce a curare con il servizio sanitario pubblico e ci si rivolge al privato! Stessa perdita di reddito.
La “flessibilità” riguarderà ovviamente i lavoratori che per conservare il posto di lavoro saranno “disponibili” ad ogni necessità del datore di lavoro con ripercussioni sulla loro salute e sull’efficienza del servizio reso. Si sapeva già perchè è avvenuto altrove: i servizi domestici e di cura precedentemente organizzati da pubbliche amministrazioni sono stati dismessi e appaltati al settore privato, dalla cura per l’infanzia ai servizi sanitari complementari e non. Di conseguenza lavoratori e lavoratrici che precedentemente erano impiegati di diritto pubblico con salari che storicamente avevano tenuto un regime dignitoso, si sono ritrovati a essere lavoratori dei servizi in balìa di appalti e subappalti al massimo ribasso.
Ci sembra comunque che il deficit non debba essere pagato da chi è più debole e i servizi pubblici non devono essere accessibili solo ai più abbienti. Una volta questo sembrava un controsenso. Assistenza all’infanzia e servizi socio-sanitari sono debolissimi a Brindisi come al Sud e la scelta di chi debba pagare questi servizi è solo una scelta politica, non tecnica!
La vicenda degli asili nido ci sembra in linea con la scelta, finora solo annunciata, di affidare beni pubblici come il Collegio Tommaseo o la ex-base USAF a privati per investimenti turistici.
Confidare eccessivamente nel settore turistico per rilanciare l’occupazione a Brindisi è una scelta forse dalle apprezzabili intenzioni ma con deboli prospettive concrete. Intanto si tratta di un settore molto dipendente dalle mode e di recente da un fenomeno a torto considerato transitorio, cioè le pandemie, e che in contesti in cui i servizi sanitari sono stati ridotti a meno del minimo per il primato conferito al pareggio di bilancio, hanno fatto e faranno sentire maggiormente il loro impatto negativo sull’economia. La maggior parte degli occupati in provincia sono nel primario, nel secondario e nel welfare. Sarebbe forse il caso di fornire spazi demaniali in abbandono a soggetti (manifatturiero) in grado di produrre esternalità positive sul resto della società piuttosto che ad un terziario a bassa produttività. Lo stesso dicasi per i terreni incolti che si intrecciano con la città ed anche fuori e che dovrebbero essere restituiti ad una agricoltura di prossimità.
Una città pulita e decorosa è innanzitutto un diritto di chi ci abita dopo, di conseguenza, può costituire un obiettivo per renderla “appetibile” a investitori che prenderanno molto lasciando poco alla società locale. Il verde pubblico che a Brindisi è già largamente superiore agli standard e ancor di più per alcuni recenti meritori interventi dell’amministrazione comunale, così come è dislocato oggi serve più a chi è nelle condizioni psico-sociali favorevoli per andare a fare un corsa o una passeggiata, che a chi affacciandosi dalla propria finestra nelle periferie urbane può ammirare solo il degrado ambientale. E comunque il verde pubblico deve essere manutenuto costantemente altrimenti fa aumentare la percezione di degrado.
L’ansia di pareggiare il bilancio e la voglia di make up che rendano “appetibile” la città non si accompagnano sempre alla tutela dei diritti fondamentali, alla lotta alle disguaglianze e al buon utilizzo dei beni comuni.