Su circa 393mila residenti nella provincia di Brindisi sono stati 10.914 i casi trattati in Adi, l’assistenza domiciliare integrata (dati 2018).

Il rapporto tra popolazione e prestazioni erogate è il più alto tra le province pugliesi, sia con riferimento al totale della popolazione attiva che rispetto alla popolazione specifica di riferimento, gli anziani, confermando un trend positivo che, dal 2017, è stato frenato solo dalle conseguenze che la pandemia ha avuto sulla sanità pubblica. «Questi dati – spiega il direttore generale della Asl, Giuseppe Pasqualone – emergono da uno studio commissionato per valutare i risultati ottenuti dal modello organizzativo adottato ormai 5 anni fa per la gestione dell’assistenza domiciliare». L’Adi è regolata da un contratto di associazione in partecipazione pubblico-privato tra la Asl e un Rti, un raggruppamento temporaneo d’imprese, composto da alcune società specializzate nel settore. Questo Rti si occupa dell’assistenza sanitaria domiciliare integrata che è l’attività organizzata dalla Asl per l’erogazione di prestazioni diagnostico-terapeutiche nel domicilio di persone non autosufficienti affette da particolari patologie accertate dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta. 

Per comprendere il reale significato dei numeri si deve passare alle percentuali che restituiscono un’idea più concreta dei valori in discussione e dell’incisività dell’azione assistenziale sul territorio: prendendo come campione l’intera popolazione residente, sempre in riferimento al 2018, il 2,78% dei brindisini ha avuto accesso all’Adi; restringendo il focus alla sola popolazione anziana, il dato sale al 7,63%. «Tra il 2016 e il 2019 – aggiunge Pasqualone – è stato certificato un incremento costante del numero dei pazienti assititi mentre si registra una riduzione nel corso del 2020 legata all’emergenza sanitaria. A partire dall’agosto del 2017, inoltre, è stata avviata l’Adp, l’assistenza domiciliare prestazionale, con un numero di pazienti raggiunti sempre in crescita». L’Adp è un intervento prestazionale occasionale di tipo sanitario (medico, riabilitativo, infermieristico), eventualmente ripetibile nel tempo, per pazienti il cui stato di inabilità non consenta l’accesso ai servizi ambulatoriali. Le prestazioni comprendono ad esempio il cambio periodico del catetere vescicale, i prelievi venosi (comprensivi di trasporto) per analisi cliniche per i pazienti in terapia anticoagulante orale e le cure domiciliari riabilitative di livello base. «L’incremento degli accessi – conclude il direttore generale – non ha comportato un aumento dei costi. Il numero di accessi per ogni utente in carico è costantemente aumentato dal 2016 al 2019: nel 2016 sono state erogate 153.442 prestazioni per 1981 pazienti e nel 2017 le prestazioni sono diventate 183.485. Per quanto riguarda gli accessi medi per paziente, siamo passati dai 52,33 del 2016 ai 65,35 del 2019».