“È passato quasi un anno dalla morte di Luca Ventre, un giovane imprenditore di Senise, che ha perso la vita mentre si trovava all’interno dell’Ambasciata italiana in Uruguay.

La storia la conosciamo tutti: Luca era entrato nell’Ambasciata scavalcando il recinto, ma senza alcuna intenzione minacciosa. L’agente della sicurezza che lo ha fermato, secondo quanto denuncia la famiglia che ha visionato i filmati delle telecamere, lo avrebbe bloccato e tenuto a terra per 37 minuti, con un braccio intorno al collo. Una perizia dice che Luca sarebbe morto a causa dell’uso di stupefacenti e per un arresto cardiaco. Ma l’impressione è che ci si trovi davanti a un caso simile a quello di George Floyd. Inoltre, dalle indagini è emerso che il vigilante non avrebbe avuto alcuna direttiva particolare su come comportarsi all’interno della sede diplomatica. Sulle procedure in caso di intrusione nell’ambasciata, il vigilante ha riferito ai carabinieri del Ros che l’azienda di sicurezza per cui lavora richiede ai dipendenti di svolgere un corso di 5 giorni sulle modalità di comportamento nella sede diplomatica verso ospiti e personale diplomatico. Per tutte queste ragioni, esiste più che un ragionevole dubbio sulle reali cause e le responsabilità della morte di Luca. Ho scritto alla Commissione europea e al governo italiano affinché chiariscano quali iniziativa hanno adottato e/o intendano adottare perché si faccia chiarezza e si arrivi alla verità. Lo dobbiamo alla memoria e alla famiglia di Luca, innanzitutto. Ma accertare le responsabilità dovrebbe essere anche un interesse primario dell’Italia, a partire dal ministero degli Esteri: non è accettabile che in una nostra ambasciata un giovane muoia perché i dispositivi di sicurezza sono appaltati a società di dubbia professionalità”. Lo dice l’eurodeputata del gruppo dei Greens al Parlamento europeo, Rosa D’Amato, che ha inviato due lettere alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e al governo italiano sul caso di Luca Ventre.