IL correntista ha diritto alla restituzione dell’indebito anche se ha sottoscritto un piano di rientro. In tema di contratto di conto corrente bancario, il piano di rientro concordato tra la banca ed il cliente non impedisce la contestazione della nullità delle clausole negoziali  (per  anatoscismo, usura, ecc.) né può comportare la sanatoria del contratto privo della forma scritta ad substantiam. 

Ad affermarlo è la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza del 31/01/2022 n. 2855.

FATTO

Il correntista e il suo fideiussore agivano in giudizio nei confronti della Banca presso la quale avevano un rapporto di conto corrente assistito da aperture di credito garantito da fideiussione; gli attori  domandavano in via principale la condanna dell’istituto di credito alla restituzione di somme indebitamente corrisposte e la rideterminazione dei rapporti di dare e avere tra le parti. La Banca, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto delle domande attrici e spiegava, in via riconvenzionale, domanda di condanna degli attori al pagamento del saldo passivo del conto.

Il Tribunale di Varese  respingeva  la domanda attrice  in quanto non avevano prodotto il contratto di conto corrente posto a base della pretesa azionata. Ma  accoglieva  

 quella riconvenzionale proposta dalla banca,  che aveva prodotto in giudizio un piano di rientro, sul presupposto che tale piano avesse valore di ricognizione di debito col quale gli attori avevano riconosciuto  di essere debitori di Euro 112.586,66.

L’appello  proposto dalla società correntista e dai fideiussori  veniva  respinto dalla Corte di appello di Milano in quanto riteneva che la banca fosse dispensata dall’onere di provare l’esistenza del contratto di conto corrente, spettando agli attori di dare dimostrazione dell’insussistenza del credito e cioè della dedotta nullità e illegittimità degli addebiti operati dalla banca nel corso del rapporto.

 La  Suprema Corte è stata di contrario avviso.

 MOTIVAZIONE

La  Suprema Corte  ha ritenuto  che la Corte di merito non avrebbe potuto  accogliere la domanda riconvenzionale della banca sulla scorta di quanto risultava dal piano di rientro in quanto consistente in una dichiarazione unilaterale recettizia che non integra una fonte autonoma di obbligazione.

Dunque il piano di rientro che riconosce il debito non può supplire alla mancata produzione della documentazione della pattuizione da cui trae origine il rapporto presupposto, soggetto alla forma scritta ad substantiam. Invero per la costituzione dell’obbligo di pagare interessi in misura superiore a quella legale è necessaria la forma scritta a norma dell’art. 117 t.u.b. e perciò è a tal fine inidonea una ricognizione del debito, atto successivo alla costituzione di detto obbligo.

In ogni caso, ha precisato la Corte, il piano di rientro concordato tra la banca ed il cliente se ha  natura meramente ricognitiva del debito, non ne determina l’estinzione, né lo sostituisce con nuove obbligazioni e, pertanto, è sempre possibile  contestare la nullità delle clausole negoziali  del contratto di conto corrente.

LA DECISIONE

La Corte Suprema ha quindi  accolto il ricorso  con rinvio della causa ad altra sezione della Corte di Milano che  dovrà fare applicazione del seguente principio di diritto:

 “Il piano di rientro concordato tra la banca ed il cliente, avente natura meramente ricognitiva del debito, non preclude la contestazione della nullità delle clausole negoziali preesistenti e non esonera pertanto la banca, attrice in giudizio per il pagamento del saldo, dal documentare le condizioni convenute nel contratto di conto corrente, che è soggetto alla forma scritta ad substantiam a norma dell’art. 117 t.u.b”.

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