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Opi Brindisi:Violenza contro gli operatori sanitari: no alla paura nei luoghi di cura

Il presidente OPI Brindisi Scarpa per la ricorrenza del 12 marzo: “sia solo l’inizio di un cambiamento culturale”

Con una media di 2.500 casi l’anno registrati nel comparto sanità e assistenza sociale, le violenze contro gli operatori sanitari sono un fenomeno tristemente diffuso: la maggior parte delle aggressioni avviene in case di cura e ospedali, mentre ad essere più colpite sono le professioniste della salute, in particolar modo infermiere (ed infermieri). Nel quinquennio 2016-2020 sono stati più di 12 mila i casi di infortunio sul lavoro, accertati positivamente dall’Inail, codificati come violenze, aggressioni, minacce, eccetera, perpetrate nei confronti del personale sanitario, con una media di circa 2.500 l’anno, dei quali gli infermieri sono purtroppo le vittime più costanti.

«I nostri professionisti, di cui è ben nota la carenza nei luoghi di cura, non posso essere lasciati soli perché la sicurezza di chi cura deve essere una priorità alla quale non possiamo non dar peso». A ricordarlo, in previsione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari, prevista dalla Legge 14 agosto 2020, n. 113, è il presidente dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Brindisi, nonché componente del Comitato Centrale FNOPI, Antonio Scarpa.

«Le continue aggressioni che si registrano quotidianamente sono il frutto delle carenze di personale e strutturali che i ripetuti tagli hanno prodotto nelle aziende sanitarie – commenta Scarpa – unite alla costante e incosciente campagna di delegittimazione e de-valorizzazione del pubblico impiego. È ora di ripristinare il valore della professione infermieristica: gli infermieri meritano rispetto». La credibilità della categoria è essenzialmente lo specchio del rapporto di fiducia con il paziente, una vera e propria relazione di cura tra l’utente ed il professionista, non c’è margine di discussione in tal senso, questo rapporto privilegiato con chi soffre è una peculiarità propria degli infermieri.

«Per fare fronte a questa emergenza non basta la pur importante funzione di deterrenza che le forze dell’ordine svolgono – prosegue Scarpa – è indispensabile un cambio culturale e di mentalità». Tra le varie strategie attuabili, la formazione professionale è considerata dagli operatori sanitari quella più utile per aumentare le proprie competenze (e lo dimostrano i numerosi corsi attivati sul tema), migliorando le reazioni degli infermieri agli episodi aggressivi, fornendo tecniche di prevenzione, di autodifesa e strumenti per evitare le provocazioni dei pazienti evitando l’escalation dell’aggressività. Episodi legati indubbiamente alla tensione ed alle paure che generano i problemi di salute, anche gravi, di chi si presenta in una struttura sanitaria o accompagna un proprio caro. 

«Abbiamo urgenza di attenzionare il fenomeno – sottolinea il presidente OPI – anche perché uno dei dati più allarmanti è il considerare l’aggressione un evento “abituale”. Questa percezione falsata e quasi rassegnata porta con sé gravi effetti collaterali, come la mancata denuncia alle autorità, l’immobilismo dei decisori, ma anche il burnout dei professionisti, con esaurimento emotivo, perdita del senso del sé e demotivazione nello svolgimento della professione».

Citando Florence Nightingale, capostipite dell’infermieristica moderna: “l’infermieristica, non è semplicemente tecnica, ma un sapere che coinvolge anima, mente e immaginazione”, è un sapere che ha bisogno di un metodo, di una forma mentis che permetta al professionista di porsi al fianco del paziente nel migliore dei modi. «Motivo per cui – conclude Scarpa – solo l’impegno comune di tutti gli attori coinvolti in ambito sanitario può migliorare l’approccio al problema e si potrà garantire un ambiente di lavoro più sicuro. Dobbiamo assumerci la responsabilità di aver cura di chi cura, un concetto così abusato e trascurato. Nessuno può dare cura autentica se non sperimenta di essere curato, nel proprio lavoro, allo stesso modo».

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