“SCRIVERE A CEGLIE”, LA SCRITTURA COME MODO DI ESSERE
Proseguono gli incontri di “Scrivere a Ceglie Messapica. L’avventura della parola e della conoscenza”, percorso di laboratori di scrittura in programma a Ceglie Messapica nel chiostro di San Domenico.
L’iniziativa, organizzata dalla società di didattica della scrittura Graphein con il sostegno del Comune di Ceglie Messapica, è coordinata dal prof. Cosimo Laneve, già preside della Facoltà di Scienze della Formazione e docente di Didattica Generale all’Università di Bari. La partecipazione gratuita con iscrizione sul sito www.scrivereaceglie.org e tesseramento annuale all’associazione Graphein (€ 50,00). Il tesseramento è gratuito per gli under 25. Info 339 20 68 723 e 333 85 78 631. Secondo appuntamento da mercoledì 27 a venerdì 29 luglio alle ore 18.30 con lo scrittore Paolo Di Paolo, tra i più affermati autori della scena letteraria italiana contemporanea. Finalista nel 2003 al Premio Italo Calvino per l’inedito e al Campiello Giovani, Paolo Di Paolo è autore tra l’altro dei romanzi “Dove eravate tutti” (2011, Premio Mondello e Super Premio Vittorini), “Mandami tanta vita” (2013, Premio Salerno Libro d’Europa, Premio Fiesole Narrativa e finalista Premio Strega), “Una storia quasi solo d’amore” (2016) e “Lontano dagli occhi” (2019, Premio Viareggio-Rèpaci), tutti nel catalogo Feltrinelli. Ha scritto per il teatro ed è autore di libri per ragazzi e di libri nati in dialogo con alcuni protagonisti della cultura, fra cui Dacia Maraini, Raffaele La Capria, Antonio Tabucchi e Nanni Moretti. Scrive su “la Repubblica”, “L’Espresso” e “Vanity Fair”. Conduce su Rai Radio 3 la trasmissione “La lingua batte”.
Ognuno ha un proprio stile di scrittura legato all’uso della punteggiatura, della sintassi, delle forme linguistiche, alle figure retoriche, ai virtuosismi o alla rottura delle regole convenzionali, alle figure e alle immagini che desidera evocare. “Scrivere a Ceglie” accompagna i partecipanti a scoprire le proprie potenzialità espressive, le dinamiche spesso introspettive dalle quali nasce la necessità di comunicare. Sarà naturale ben presto ritrovarsi a giocare con le parole anche nel tempo libero, sulla scia delle pratiche mascherate da gioco che saranno proposte durante il laboratorio: libere associazioni di idee, immagini, conoscenze per rafforzare la capacità di costruire mappe concettuali, scritte come astratte. Ancora più in generale l’obiettivo è di stimolare i partecipanti a riscoprire la comunicazione scritta, nelle forme più diverse, come strumento per dare sfogo alle proprie emozioni, alle proprie passioni e paure, aggiustando il vocabolario per dare un nome al mondo che ci circonda.
Scrivere per conoscere se stessi, per costruirsi delle opinioni, per confrontarsi e informarsi, per saper sviluppare concetti. Scrivere solo dopo aver ascoltato, osservato, riflettuto e interiorizzato, attraverso processi intesi non solo al perfezionamento delle tecniche ma alla scoperta di sé come persona irripetibile e pensante. Scrivere non significa soltanto saper coniugare verbi e inserire la punteggiatura corretta, ma anche costruire pensieri critici e personali interrogando il “motus animi” dal quale scaturiscono propositi e pensieri in forma di parole. Creatività, immaginazione, capacità di astrazione, qualità che ogni scrivente deve avere e riuscire a padroneggiare.
«La scrittura è una forma di espressione privilegiata – ha detto Paolo Di Paolo –, tra tutte quella più congeniale e naturale. Ma la scrittura è anche un modo di essere e, come ogni forma d’arte, è una sorta di involontario autoritratto di chi la utilizza. In fondo è una forma di esistenza, basti pensare a tanti autori che della scrittura hanno fatto la loro stessa vita. Nelle giornate di Ceglie partirò dal rapporto tra vissuto e scritto, tra perdita e acquisizione, perché la scrittura come processo aggiunge e sottrae insieme. A fare da filo conduttore sarà il mio ultimo libro, un dialogo con Claudio Magris, che ha per titolo “Inventarsi una vita”: questa espressione sarà centrale nel corso e si può declinare in tanti modi perché, in generale, mi piace partire con alcune idee e durante il laboratorio tararle sul rapporto con l’uditorio, adattarle e forgiarle secondo la tensione che si crea con i presenti. Non esiste un format rigido, preconfezionato e valido per tutte le esperienze».
Dunque, il laboratorio è una sorta di indagine sul campo che cambia di continuo traiettoria, prende scorciatoie o campi lunghi a seconda delle risposte, dei dubbi e del grado di corrispondenza dei partecipanti. «La facoltà più importante è l’immaginazione – ha continuato Di Paolo – che non bisogna confondere con la fantasia. Ed è la qualità che più cercherò di stimolare durante le tre giornate. La fantasia è una dote naturale, se non c’è non si può forzare. Mentre l’immaginazione è un dono universale, una base da cui tutti possiamo partire. Tutti siamo in grado di immaginare, noi stessi, gli altri, la relazione tra due personaggi, un mondo scomparso o che non è ancora arrivato. Anche un ricordo personale va immaginato, un po’ come rimetterlo in scena. È questo il muscolo che dobbiamo tenere sempre in allenamento perché rischia di atrofizzarsi».
Ci sono poi le parole che sono il portato di confine di un movimento, della memoria o dell’anima. E il tema dei laboratori di quest’anno è proprio il “motus animi”, la fonte del pensiero che muove e dà corso alla parola, un flusso che dalla profondità tende all’espressione. «I trattatisti del Seicento – ha concluso Paolo Di Paolo – provarono a inventariare le sfumature degli stati d’animo che provocavano reazioni fisiologiche ed epidermiche – come rossori e tremori -, a conferma che il corpo rivela il “motus animi”. Lo scrittore ha il compito di trovare la parola giusta, a costo di inventarla o di creare una locuzione, per incorniciare quel “motus animi” che in quel momento appartiene solo a lui, che solo lui ha percepito. Le parole servono a questo, a differenziare la singolarità di uno stato d’animo. È qui che si misura l’efficacia di quello che racconti. Allo scrittore non deve mancare l’istinto e il coraggio di buttarsi dentro una storia, ma anche la consapevolezza che entra in gioco subito dopo e che determina la dimensione esatta della scrittura».
«Si scrive perché si è presi dal desiderio di toccare l’Altro e dallo sconforto di non raggiungerlo mai».
Charles Simić, “L’indovino disoccupato”