Sabato 15 ottobre, alle ore 19.00 nel Santuario di Mater Domini, presentazione del libro “Ognuno impazzisce a modo suo” di Stefan Çapaliku.

L’incontro culturale è stato organizzato dai volontari della “Casa di Zaccheo” in collaborazione con il Comune di Mesagne, la commissione Pari Opportunità, Politiche di Genere e Diritti Civili, l’associazione Cittadini del Mondo e il giornale online QuiMesagne.it. Protagonista dell’evento culturale, che ha come obiettivo la conoscenza della cultura albanese, sarà Stefan Çapaliku (1965, Skodra) scrittore, drammaturgo e specialista di teatro albanese.

Stefan Çapaliku è uno studioso che ha insegnato prima all’Università di Skodra e poi, a partire dal 1998, all’Università di Tirana. È anche un poeta rinomato, ma è famoso forse prima di tutto come drammaturgo. In Albania, è stato nominato drammaturgo dell’anno nel 1995, 2003, 2007, 2012 e 2016. Çapaliku dirige anche opere teatrali e film. Molti dei suoi lavori sono stati rappresentati in festival teatrali internazionali, dove ha vinto premi nazionali e internazionali.

Il libro racconta la vita di una famiglia in una città della provincia albanese, dagli anni Sessanta alla morte del dittatore Enver Hoxha nel 1985. Mentre vige l’ateismo di stato, arrivano i primi televisori con antenne rivolte verso l’Italia e la Jugoslavia. Gli americani, tanto odiati dal regime comunista, all’Islam divide cattolici e musulmani, in un paese in cui il pugilato e la religione sono entrambi proibiti. I giovani vengono uccisi mentre cercano di attraversare il confine. L’installazione di un disturbatore di frequenze costringe gli spettatori a guardare solo la televisione di Tirana. Un sistema che voleva essere eterno, inventore del Nuovo Uomo, è durato solo quarant’anni: un breve scatto nella Storia. Non è una storia di ‘eroi’, è un punto di vista personale su una realtà vissuta in prima persona. L’autore già nelle prime pagine ci avverte: “È possibile che i miei ricordi partano proprio da un carcere?! Ma sì, succede, non c’è niente da fare. Alla fine, la memoria stessa non è una prigione?”