In tema di sanità pubblica a rischio di collasso definitivo e di sistemi sociosanitari oggettivamente ineguali in Italia, è del tutto legittimo chiedersi cosa si stia facendo, oltre alle doglianze a volte stucchevoli che caratterizzano ormai il dibattito comunitario, a fronte di impegni progettuali cofinanziati dal PNRR ma ancora fermi sulla carta.

Qui si parla di sistemi integrati da ridisegnare dando risposte ad un Paese la cui variabile anagrafica, ovvero la bassa natalità da un canto e il maggior tempo di vita di donne e uomini dall’altro, al Sud in particolare, pone già nuovi bisogni a partire da una nuova cultura della prevenzione, della cura e dell’assistenza, sia all’interno che all’esterno delle strutture pubbliche, come ospedali, Rsa, Adi,  ecc. 

Salvare, dunque, la sanità pubblica ed il sistema sociosanitario pubblico significherà rilanciare la medicina territoriale e valorizzare la casa del paziente come prima sede di cura, giacché non ci saranno mai risorse umane sufficienti, neppure quando si riuscissero ad assumere i circa 70mila infermieri che oggi mancano, per mettere al sicuro il servizio sanitario ospedaliero; senza tacere, inoltre, sulla penuria aggiuntiva di medici e di altre professionalità.

L’emergenza sanitaria, a partire da quella dei Pronto soccorso, non è solo legata alla mancanza di personale, peraltro a rischio di demotivazione in quanto bersaglio sempre più spesso della frustrazione di pazienti o loro familiari, bensì al fatto che al loro pieno senso di responsabilità e l’abnegazione al dovere non corrisponda un riconoscimento economico adeguato, quanto invece la mortificazione continua da parte di un sistema che finora ha provato a dare risposte ma inappropriate rispetto ad una emergenza che andrebbe, viceversa, risolta senza pannicelli caldi. 

Insomma, tale emergenza va liberata da quell’affluenza e da quelle presenze che, se venissero filtrate da una medicina territoriale efficiente, libererebbe in buona parte gli ospedali da quell’ingolfamento che, come detto, ricade sul personale sanitario e sui maggiori costi dei bilanci pubblici a tutti i livelli.

Questo è il senso per cui con il PNRR e il DM 77 sono state previste le Case di comunità (CDC) vero fulcro della nuova rete territoriale, dove i cittadini potranno trovare assistenza h24 grazie ad un modello organizzativo integrato e multidisciplinare, con équipe costituite da medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialisti, infermieri di famiglia e tutti gli altri professionisti coinvolti nel processo di cura. 

Ecco, dunque, un efficace filtro per accogliere quei pazienti che richiedono cura e assistenza, che oggi trovano sfogo nei Pronto soccorso. 

Ma non va sottaciuto, in tale quadro, la questione dell’autosufficienza, ovvero dell’Assistenza domiciliare integrata, altro obiettivo del PNRR, per cui entro il 2026 il 10% degli ultra 65enni andranno curati a casa. 

Ad oggi l’Italia è fanalino di coda in Europa nelle cure a casa e parte da un modestissimo 2,9% di anziani assistiti con 16 ore in media di assistenza per persona all’anno, mentre ne servirebbero almeno 20 al mese ciascuno. 

Solo la Germania è in cima alla lista europea con circa il 15,6% delle persone anziane assistite a casa, mentre in Puglia, nel 2021, si era solo all’1,91%,  atteso il dato delle persone anziane che una volta curate, restano “parcheggiate” nei reparti di ospedale perché non hanno familiari disponibili ad accoglierli.

Fanno, a ciò, da contraltare i costi sociali ed economici che gravano sulle spalle delle famiglie, in un Paese come il nostro che, dopo 30 lunghi anni di sollecitazioni e di lotte sindacali, solo lo scorso 10 ottobre ha visto approvare in Consiglio dei Ministri un Disegno di Legge delega sulla non autosufficienza, che dovrebbe riguardare 10 milioni di persone, i loro familiari e chi li assiste professionalmente.  

Il nuovo Governo e il nuovo Parlamento sono dunque chiamati ad elaborare ed a portare a compimento questa riforma, facendone una questione di priorità politica. 

Nel mentre sia a Taranto che a Brindisi in queste settimane si dibatte sui rinvii e/o sulla mancanza di risorse per terminare nuove strutture ospedaliere, persino di costruirne altre ancora, il mondo va avanti, i bisogni sociosanitari cambiano, aumentano e se mai si approdasse nei tempi stabiliti  alla costruzione di ospedali e case di comunità, occorrerebbe aver programmato in tempo utile  la formazione di risorse umane specifiche e le ricadute economiche consequenziali. 

E questo, soprattutto, se è vero che c’è bisogno di investire in nuovi apparecchi elettromedicali, nuove tecnologie, digitale, teleconsulto, televisita, telemedicina, coinvolgendo l’intero panorama del personale sanitario e socio sanitario.

Ci sono sfide da vincere, importanti ma anche entusiasmanti che passano da una maggiore gratifica del personale, sia sul versante professionale che su quello economico.

Come dire, anche, che sarebbe un positivo segnale di controtendenza erogare, entro il 31 gennaio p.v. come  garantito dall’Assessore Regionale pugliese alla Sanità Rocco Palese e dal Direttore del Dipartimento alla salute Vito Montanaro, la premialità Covid ai lavoratori della Sanitaservice e agli autisti del 118 dipendenti dalle associazioni di volontariato, operanti rispettivamente nella Asl/TA e nella Asl/BR.

 

                                                                                        Gianfranco Solazzo