Il graduale invecchiamento della popolazione infermieristica, con una preoccupante età media salita a 56,49 anni, per i dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale, richiede un drastico piano di azione.
Con una voragine strutturale di 80mila operatori sanitari e un fabbisogno di altri 30-35 mila, legato al rinnovato fabbisogno di una collettività sempre più fragile e anziana, si rischia un vero e proprio tracollo».
«L’inesorabile e costante invecchiamento fatto registrare negli ultimi anni dalla “popolazione” degli infermieri dipendenti del nostro sistema sanitario nazionale, deve, non solo preoccuparci, ma richiede, doverosamente, strategie ed azioni concrete, da parte di Governo e Regioni, finalizzate a ricreare un indispensabile ricambio generazionale, da una parte, e mettere un freno, dall’altra, alla fuga all’estero e alle dimissioni volontarie dei nostri più valenti e molto spesso più giovani professionisti.
Non possiamo continuare a ignorare i dati allarmanti che, aggiornati allo scorso maggio, e quindi attualissimi, arrivati a noi attraverso l’accurata indagine dell’osservatorio Oasi (Observatory on healthcare organizations and policies in Italy) del Cergas Bocconi, hanno evidenziato, drammaticamente, che l’età media degli iscritti agli Ordini è 52,2 anni (era 45,6 nel 2019), mentre quella dei dipendenti del Servizio sanitario nazionale è addirittura 56,49, con differenze sostanziali da regione a regione. Quelle che hanno il maggior numero di infermieri under 28 sono Lazio, Lombardia, Campania, Puglia e Sicilia. Al contempo, sempre Lombardia, Sicilia, Lazio, Campania ed Emilia-Romagna sono le regioni col maggior numero di infermieri over 58 anni.
Cosa sta accadendo esattamente? Chiediamoci perché nessuno, a livello istituzionale, è mai intervenuto, a quasi un anno da questo report così autorevole, che il nostro sindacato ebbe cura di rilanciare con le sue campagne di comunicazione ed evidenziare agli occhi della collettività.
Oggi, ancora una volta, riteniamo opportuno di dover porre le nostre riflessioni, mettendo in evidenza quali potrebbero essere le devastanti conseguenze dell’invecchiamento della popolazione infermieristica.
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Cosa succederà da qui ai prossimi 15 anni? Oggi gli infermieri dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale sono 264.686 (dati ufficiali Fnopi): con una età media di 56,49 andiamo incontro, entro il 2038, ad una diminuzione, drastica, ma potremmo dire senza esagerazioni anche drammatica, del 40% dell’attuale popolazione infermieristica. Questo significa almeno 130mila infermieri in meno. Sono questi i risultati della nostra nuova indagine. Ed è inevitabile tutto questo visto che i colleghi oggi over 50 andranno tutti in pensione.
Come porre rimedio a questa delicata situazione? Come ricostruire il nostro sistema sanitario dalle fondamenta, ripartendo naturalmente dall’indispensabile ruolo dell’infermiere?
Non abbiamo altre strade da percorrere se non quella di ricostruire da zero una barca che intanto si riempie di acqua giorno dopo giorno, se non vogliamo rischiare un’ecatombe di personale sanitario con tutte le conseguenze sulla qualità delle prestazioni dei cittadini.
Non possiamo non tenere presente che, paghiamo oggi, l’enorme dazio di una carenza di 80mila professionisti, che si amplifica sino a 250mila se si tiene cont odi particolari tipologie di esigenze sociali , se non addirittura in 350mila unità (recente Report Crea Sanità 2023), considerando che è necessario colmare il gap con gli altri Paesi europei, ovvero quella forbice di 2 punti che vede la nostra media infermieri/pazienti nettamente inferiore rispetto alle altre nazioni, ma soprattutto tenendo presente che se invecchiano gli infermieri, uomini e donne, vuol dire che invecchiano inevitabilmente anche i cittadini.
Viviamo la realtà di una natalità bassissima, di conseguenza la sanità dovrà tenere conto, nel suo piano di ricostruzione, di un fabbisogno ulteriore di professionisti che faccia fronte alle necessità di una popolazione destinata a subire l’impatto con le patologie tipiche dei soggetti più fragili ed anziani. Tutto questo equivale a dire: occorrono più infermieri, ma soprattutto occorre più sostegno alle famiglie e alle strutture territoriali, al di fuori delle realtà ospedaliere già tremendamente congestionate.
Ci riferiamo, naturalmente, alla necessità del rafforzamento della sanità di prossimità attraverso il ruolo dell’infermiere di famiglia/comunità, quella inclusa nella Missione 6 del Pnrr, occasione di ingenti risorse a disposizione, non smetteremo mai di ribadirlo, che non può e non deve essere sprecata.
Quali soluzioni, allora, per fronteggiare un invecchiamento della popolazione infermieristica, che ridurrà drasticamente il numero di professionisti a disposizione del SSN entro i prossimi 15 anni a causa degli inevitabili pensionamenti?
Non possiamo certo non consentire a chi ha lavorato una vita tra le corsie di godersi il meritato riposo, ma dobbiamo e possiamo innanzitutto tenerci stretti gli infermieri più giovani che scappano all’estero attratti da prospettive economiche più vantaggiose, o si dimettono logorati da turni massacranti, violenze personali e retribuzioni ridicole.
Di certo, in primis, occorre arginare l’emorragia del personale in attività, costruendo passo dopo passo una valorizzazione economica degna di tal nome che può e deve restituire appeal e credibilità alla nostra professione.
Questo vuol dire anche e soprattutto incentivare il ricambio generazionale partendo dalle basi della professione, ovvero i corsi universitari.
Non possiamo ignorare il fatto che le domande al corso di laurea per infermiere (dati nazionali) sono palesemente diminuite rispetto all’anno precedente. Non si tratta di una novità assoluta: un altro calo si era avuto dopo i “picchi” degli anni dal 2010 al 2013; ma, e questa è la prima volta che accade che le domande dei candidati non sono solo diminuite, ma sono risultate inferiori al numero di posti richiesti dalla FNOPI, che come noto sono aumentati. Paradossalmente, avete capito bene, ci sono più posti a disposizione, ma le iscrizioni sono diminuite.
Inevitabile, dice ancora De Palma, tornare anche sull’attualissimo argomento dello sblocco del vincolo di esclusività per i nostri infermieri.
Dallo scorso 29 dicembre. sul tavolo del Ministro della Salute, Orazio Schillaci, c’è un nostro emendamento che chiede ufficialmente al nuovo esecutivo di ampliare la libera professione a infermieri , ostetriche e professioni sanitarie del comparto. Abbiamo ricevuto in tal senso un’accoglienza che non possiamo non giudicare proficua e positiva. Abbiamo evidenziato, attraverso l’incontro tra lo staff di Schillaci e la nostra Delegazione, che non solo la sanità pubblica ma in particolare quella privata, con le RSA in primis, potranno giovare del supporto della libera professione svolta dal personale di cui si parla, sanando così in gran parte la crisi corrente , e puntando già sugli uomini e le donne che già lavorano nei nostri ospedali.
Ci giungono notizie che in questi giorni il Governo, dando riscontro positivo alle nostre richieste, starebbe elaborando una norma specifica per lo stop al vincolo di esclusività.
Solo ampliando al personale non medico del comparto, la possibilità di svolgere la libera professione, potremo vedere la luce, assieme all’attuazione , naturalmente, di un rigoroso e coraggioso piano di assunzioni, che contribuisca a sanare la voragine esistente», chiosa De Palma.