La cerimonia in memoria del caposcorta di Falcone alla presenza del prefetto e del questore di Brindisi e del sacerdote fasanese nella comunità in cui ha operato
«La morte non porta via i nostri cari anzi li conserva e li nobilita nella nostra memoria». I palloncini rossi a forma di cuore che a fine giornata vengono liberati nel cielo di Fasano ben sintetizzano il senso delle nuove vie intitolate oggi pomeriggio. La prima a Vito Montinaro, il caposcorta di Giovanni Falcone, ucciso nella strage di Capaci insieme alla moglie del magistrato Francesca Morvillo e agli altri agenti della scorta. La seconda a don Antonio L’Oliva, punto di riferimento per tanti anni della comunità fasanese.
Due uomini molto diversi, due vite agli antipodi forse, ma simili in un identico comune denominatore. Via Antonio Montinaro è stata inaugurata a Pezze di Greco, la frazione più popolosa del territorio di Fasano, alla presenza delle sorelle del poliziotto originario di Calimera, Matilde e Luigina. A scoprire la targa, accanto al sindaco Francesco Zaccaria e al suo vice, Luana Amati c’erano il prefetto di Brindisi, Michela Savina La Iacona, il questore di Brindisi, Danilo Gargano, rappresentati di Polizia di Stato, carabinieri (guidati dal comandante Massimo Cicala), la sezione di Brindisi dell’associazione nazionale Polizia di Stato, la Polizia Locale guidata dal comandante Marisella Speciale, il segretario provinciale di Libera Valerio D’Amici e il responsabile cittadino dell’associazione contro le mafie, la prof.ssa Giuditta Di Leo, che ha accompagnato una delegazione di studenti del liceo «Da Vinci» che compongono il presidio di Libera.
«Commemorare è un dovere nei confronti dei familiari anche se cerimonia come queste non riusciranno mai a lenire le ferite che continuano a restare nell’anima – ha sottolineato il prefetto –. Non solo è importante ricordare, ma occorre richiamare forte il senso delle legalità per far comprendere ai giovani che per rompere il muro delle mafie bisogna sposare la necessità della giustizia. Solo puntando sulla parte sana della comunità si può portare i giovani a scegliere lo Stato e a preferirlo alla lucida follia delle mafie».
«Dare un nome, nominare significa dare sempre nuova vita – ha sottolineato il sindaco ricordando Franco Zizzi (il poliziotto fasanese ucciso nella strage di via Fani, ndr) –. Occorre agire con passione perché in questo modo si lascia comunque un ricordo eterno che diventa modello presente e futuro per le nuove generazioni».
L’assessore Amati ha inoltre evidenziato che a Pezze erano già state intitolate strade a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Paolo Borsellino: «Con questa nuova strada continuiamo a onorare la memoria di grandi donne e uomini, esempio dello spirito di servizio, dell’amore per il proprio dovere anche oltre e a costo della propria vita».
«Antonio è uno di noi – ha sottolineato il questore ringraziando il comune di Fasano per la sensibilità fuori dal comune dimostrata –. Antonio è un esempio tutti i giorni e noi donne e uomini della Polizia di Stato cerchiamo concretamente di onorarne la memoria stando vicino al cittadino in un percorso comune di legalità in cui ciascuno agiste facendo la sua parte e non lasciando indietro nessuno».
Affinché possa prevalere «la normalità del coraggio» come ha sottolineato Matilde Montinaro: «Mio fratello era un ragazzo con una abnegazione straordinaria. Sapeva esattamente di essere in pericolo di vita, ma aveva un senso di responsabilità che ha prevalso sulla paura. Ed è questo senso di responsabilità che deve appartenerci affinché la targa di questa nuova strada non resti solo un simbolo, ma sia la molla per sconfiggere la mafiosità che c’è intorno a noi, per rifiutare e respingere gli atteggiamenti che creano l’humus dove la mafia germoglia».
Da Pezze di Greco a Fasano la cerimonia di intitolazione è continuata con lo scoprimento della targa nella nuova via don Antonio L’Oliva, nei pressi della parrocchia di san Francesco (la strada che si sviluppa dalla rotatoria di Via degli Astronauti e si innesta sulla Strada Comunale Lazzaretto) dove lui stesso ha operato. Per lui tanta commozione, i palloncini della sua comunità che ha chiesto con forza una via che portasse il nome del sacerdote. La cerimonia si è svolta alla presenza di don Carlo Latorre e don Vito Schiavone, dei familiari del sacerdote e dell’associazione nuova Aurora.
È stato un bel momento di comunità in cui il sacerdote è stato ricordato con affetto dai suoi parrocchiani nel giorno che precede quello del suo compleanno e che quest’anno coincide con il martedì grasso che chiude il carnevale, la festa a lui tanto cara e che lui stesso ha contribuito ad animare a Fasano inaugurando la tradizione cittadina della sfilata dei carri in città. “È stato un parroco coraggioso e in grado di costruire comunità con linguaggi innovativi”, ha sottolineato l’assessore Amati raccontando simpatici aneddoti del percorso sacerdotale di don Antonio. E tanti altri episodi dei suoi anni in parrocchia sono stati ricordati dai componenti dell’associazione nuova Aurora, esempio concreto dei tanti fedeli che don Antonio ha aggregato in questi anni e che ancora oggi si radunano attorno alla parrocchia di San Francesco. Il lancio finale dei palloncini colorati ha chiuso la cerimonia mentre la sfilata dei carri partiva dai pressi della parrocchia per raggiungere il centro della città, nel segno di una tradizione che quest’anno in sua memoria assume ancora più forza.
Antonio Montinaro (Calimera, 1962 – Capaci, 23 Maggio 1992) è stato un poliziotto italiano.
Era il capo della scorta di Giovanni Falcone, ucciso nella strage di Capaci.
Montinaro viaggiava nella prima delle tre Fiat Croma che riaccompagnavano il magistrato, appena atterrato a Punta Raisi da Roma, a Palermo. L’auto era guidata da Vito Schifani, sul sedile posteriore stava l’agente Rocco Dicillo (Falcone guidava la Croma bianca che li seguiva, su cui viaggiava anche la moglie Francesca Morvillo). Nell’esplosione, avvenuta sull’Autostrada A29 all’altezza dello svincolo per Capaci, i tre agenti morirono immediatamente, poiché la loro auto fu quella investita con più violenza dalla deflagrazione, tanto da essere sbalzata in un oliveto a più di dieci metri di distanza dal manto stradale. Quel pomeriggio il suo lavoro doveva svolgerlo nel turno di mattina ma, saputo che il “suo” magistrato sarebbe arrivato da Roma a quell’ora, chiese il cambio per essere lui ancora una volta a scortarlo, il suo antico capo scorta, Una scelta dettata dall’altissimo senso del dovere, una scelta che gli è costata la vita, perché sapeva che Falcone in Sicilia era “personalità ad altissimo rischio attentati”. Montinaro aveva 30 anni e lasciava la moglie e due figli. In sua memoria il Comune di Calimera ha intitolato una piazza ed eretto un piccolo monumento costituito da un masso estratto dal luogo dell’attentato e da un albero di mandarino di Sicilia, «Chiunque fa questa attività, ha la capacità di scegliere tra la paura e la vigliaccheria.
La paura è qualche cosa che tutti abbiamo: chi ha paura sogna, chi ha paura ama, chi ha paura piange. È la vigliaccheria che non si capisce e non deve rientrare nell’ottica umana. Montinaro in privato, con i cronisti, lo chiamava “Giovanni”, e prometteva, senza averlo mai fatto, che un giorno o l’altro avrebbe fornito notizie da scoop. Ma il libro, probabilmente non l’avrebbe mai scritto e lo “scoop” non lo avrebbe mai fatto fare. Antonio Montinaro, non avrebbe mai svelato un segreto e per arrotondare il suo stipendio aveva messo su un negozietto per la vendita di detersivi, gestito dalla moglie. Nel suo lavoro Antonio era “professionale” così come gli altri suoi colleghi. A Michele Naccari, un fotografo di nera, quando era andato a trovarlo per ritirare delle immagini che lo ritraevano assieme a “Giovanni” aveva detto: “Dai che prima o poi mi faranno saltare in aria ed allora farai davvero uno scoop”.
Don Antonio L’Oliva (Castellana Grotte 22.2.1945 – Fasano 1.11.2010). Don Antonio era nato a Castellana Grotte in una famiglia numerosa. Lui, il quinto di otto figli, sente subito il richiamo del Signore. Ha solo 14 anni quando decide di entrare in seminario ma solo nel settembre del 1970 diventerà sacerdote. Sarà viceparroco a Putignano e poi parroco nella stessa Castellana e nella contrada monopolitana di Antonelli. Ma a segnarlo come sacerdote è decisamente la missione di sei mesi in Brasile: un’esperienza dura che tempra lo spirito del prete e dell’uomo Antonio.
Nel 1998, dopo la morte di don Angelo Pezzolla, viene destinato alla parrocchia di S. Francesco d’Assisi di Fasano. Organizzando piccole manifestazioni di intrattenimento riesce ad introitare risorse economiche che destinerà alla ristrutturazione dell’ex cinema Serafico.
Don Antonio diviene una guida e molti parrocchiani cominciano a seguirlo costituendo un gruppo solido che ancora oggi è molto attivo sul territorio. Il carisma del vulcanico parroco e la sua innovativa maniera di interpretare il suo ruolo diventano i simboli del rinnovamento della parrocchia. Da allora è stato un vulcano di idee e non si è fermato un solo istante per raggiungere lo scopo primario che si era prefisso: la costruzione della nuova chiesa. II 4 ottobre del 2006 viene posta la prima pietra della nuova chiesa.
In questi anni i lavori sono andati avanti e il sogno stava diventando, seppur tra mille difficoltà dovute alla mancanza di soldi, realtà. Ma un destino crudele attendeva dietro l’angolo don Antonio: la terribile malattia lo colpisce alla gola. Don Antonio muore il 1° novembre 2010 senza apprezzare l’opera finita. I suoi parrocchiani continueranno il suo lavoro, portando a termine la nuova chiesa che oggi è dedicata a Giovanni Paolo II.