Per il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, norma contraria al principio di stretta legalità, va modificata delineando meglio le fattispecie.
“La proposta di legge di Fratelli d’Italia per la revisione dell’attuale previsione normativa sul reato di tortura va nella giusta direzione e chi fa polemiche politiche strumentali, dopo avere assestato colpi mortali alla sicurezza delle carceri con l’introduzione della vigilanza dinamica e la chiusura di carceri, Provveditorati regionali e Centrali operative della Polizia Penitenziaria, non perde occasione per seminare demagogia e falsità”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. “L’attuale formulazione del reato di tortura contravviene allo scopo della convenzione ONU del 1984. Mettendo a confronto la previsione della convenzione e quella del codice penale italiano emergono divergenze che ne hanno snaturato il fine, a vantaggio di una malcelata esigenza di soddisfare pressioni ideologiche del partito dell’antipolizia. Il fine doveva essere quello di punire soprattutto chi estorce confessioni o intende punire qualcuno con la violenza, oggi, invece, si punisce col reato di tortura ciò che era già punito con i reati di lesione e percosse. Quindi, bene l’iniziativa di Fratelli D’Italia che riconduce la fattispecie nell’alveo che le è proprio: quello della convenzione ONU. Pretestuosi e fuori luoghi gli appelli al Presidente della Repubblica.”.
“Abbiamo sempre chiesto alle Autorità politiche e ministeriali”, aggiunge, “che si preveda la sottoscrizione di un “Protocollo operativo” nel quale indicare tassativamente le modalità d’intervento con le quali la Polizia Penitenziaria deve far fronte ai diversi eventi critici che ripetutamente si verificano nelle carceri del Paese. I poliziotti penitenziari hanno diritto di conoscere come operare in caso siano posti in essere, da parte della popolazione detenuta, episodi di “barricamento”, di rivolte, di violenza, di minacce, di resistenza, dioltraggio, di danneggiamento, di incendio doloso, di evasione, di auto/etero·lesionismo, e di tutti quei giornalieri eventi, che oggi, più di prima, non si sa come affrontare”.
Il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria cerca di interpretare e, conseguentemente, dare voce ai timori, del tutto fondati, dei nostri colleghi che, quotidianamente, si trovano a dover affrontare situazioni che, oltre a esporli al rischio di aggressioni fisiche e verbali, evidentemente, li espone al pericolo di “facili” condanne, con tutte le nefaste conseguenze del caso.
Per il SAPPE, infine, “sembra che sia innescato un pericoloso processo di “scarico delle responsabilità” sull’ultimo e più debole anello della lunga catena della macchina amministrativa: ovvero la Polizia Penitenziaria. E a nulla vale la conclamata carenza di personale del Corpo (attualmente la Polizia Penitenziaria conta 4.000 uomini in meno), la mancanza di personale socio-sanitario, la totale assenza di sistemi tecnologici idonei, il sovraffollamento carcerario, la carenza di risorse economiche per le attività rieducative dei ristretti, l’inadeguatezza delle strutture carcerarie, le discutibili scelte gestionali operate dagli Organi di Vertice amministrativo e tanto altro. Per casi di evasione, ad esempio, chi è che ha “pagato” è la sola Polizia Penitenziaria. Il magistrato di turno condanna l’agente per colpa del custode, ma non rileva che in un carcere con 1.600 detenuti vi sono in servizio 18 agenti, che il circuito di “antiscavalcamento” è malfunzionante e che l’agente più giovane in servizio ha superato di gran lunga i 50 anni”.
“Per questo”, conclude Capece, “va nella giusta direzione la proposta di legge di Fratelli d’Italia. Perché al verificarsi di un evento critico specifico, la Polizia Penitenziaria, deve poter seguire una prestabilita procedura e, di detta procedura, ne deve rispondere anche l’Amministrazione Penitenziaria”.