E’ un detenuto italiano, nato nel 1996 e ristretto nel carcere di Torino,l’ennesimo morto in un carcere italiano. A dare la notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri.
“L’uomo è morto nella notte e la causa della morte è presumibilmente l’inalazione in cella del gas della bomboletta che legittimamente i detenuti posseggono per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande. Non è ancora chiaro, dunque, se si tratta di suicidio o le conseguenze di uno sballo finito male”, denuncia Vicente Santilli, segretario regionale per il Piemonte del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. “Certo è che l’uomo, che pure aveva qualche problema di natura psichiatrica, è morto e questo è un fatto triste e grave”, conclude.
Per il Segretario Generale SAPPE Donato Capece: “è ora che al posto delle pericolosissime bombolette a gas, a volte trasformate anche in bombe contro il personale di Polizia Penitenziaria, si dotino le carceri di piastre elettriche per riscaldare il cibo dei detenuti. E il fatto che sia morto inalando il gas dalla bomboletta deve fare seriamente riflettere sulle modalità di utilizzo e di possesso di questi oggetti nelle celle. Già da tempo, come primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE ha sollecitato i vertici del DAP per rivedere il regolamento penitenziario, al fine di organizzare diversamente l’uso e il possesso delle bombolette di gas”.
Ma il SAPPE sottolinea le criticità operative del personale di Polizia in relazione all’alta concentrazione di detenuti psichiatrici e tossicodipendenti, come a Torino: “Dai dati in nostro possesso sappiamo che quasi il 30% delle persone, italiane e straniere, detenute in Italia, ossia uno su tre, ha problemi di droga. Per chiarezza va ricordato che le persone tossicodipendenti o alcoldipendenti all’interno delle carceri sono presenti per aver commesso vari tipi di reati e non per la condizione di tossicodipendenza. La loro presenza comporta da sempre notevoli problemi sia per la gestione di queste persone all’interno di un ambiente di per sé così problematico, sia per la complessità che la cura di tale stato di malattia comporta. Non vi è dubbio che chi è affetto da tale condizione patologica debba e possa trovare opportune cure al di fuori del carcere e che esistano da tempo dispositivi di legge che permettono di poter realizzare tale intervento”.