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Pnrr, Unsic al tavolo ministeriale: “Sì alle rinnovabili, ma basta pali eolici al Sud”

Il Pnrr è stato di recente aggiornato con l’introduzione del RePower-Eu, risorse per due miliardi e 700 milioni a fondo perduto specifiche per il settore energetico. L’utilizzo di questo capitolo implementare del Pnrr genererà quindi indubbi vantaggi per molte realtà locali del nostro Paese. Ma come saranno spese in Italia, nel dettaglio, queste risorse?

Un confronto sul tema avverrà giovedì 20 aprile a Palazzo Chigi con la riunione della cabina di regia sul Pnrr. I ministri Raffaele Fitto, Giancarlo Giorgetti, Francesco Lollobrigida, Gilberto Pichetto, Matteo Salvini, Antonio Tajani e Adolfo Urso, insieme al sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano, incontreranno i rappresentanti di Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Copagri e Unsic, i quali presenteranno le proprie proposte.

Sul tappeto ci sono i temi della transizione verde, cioè la spinta all’energia rinnovabile che può venire anche dalle imprese, la diversificazione delle forniture energetiche, il ruolo dell’idrogeno, il risparmio in bolletta. Ai benefici ambientali ed economici si sommano quelli occupazionali: un documento pubblicato sul sito della Banca d’Italia attesta che il prossimo anno ci saranno tra 300mila e 375mila lavoratori in più grazie al Pnrr.

In genere del Pnrr viene evidenziata, principalmente, la straordinaria disponibilità di risorse finanziarie, mentre è necessario soffermarci sulla qualità della spesa, cioè sulla capacità di utilizzare queste risorse in modo concentrato e strategico, efficace e funzionale – sottolinea Domenico Mamone, presidente dell’Unsic. “Il Pnrr, per avere successo, deve costituire uno strumento di politica economica di lungo termine, per tornare ad assicurare a questo nostro Paese una crescita sostenibile e duratura”.

Purtroppo i rischi di ritardi, disomogeneità e inefficienze, specie a livello territoriale, sono ovviamente concreti. Lo stesso ministro Fitto non ha nascosto le difficoltà insite in questa epocale sfida fatta di riforme assoggettate all’azione di governo e Parlamento, di investimenti collegati ad atti decentralizzati di amministrazioni nazionali e locali. Con variabili generate da fenomeni contingenti, come il peso inflattivo e l’aumento dei costi delle materie prime. Anche la relazione della Corte dei Conti del 28 marzo scorso ha confermato tali criticità, attestando che circa la metà delle misure del Pnrr mostra attualmente ritardi o è ancora nella fase iniziale dei progetti.

Tuttavia il decreto legge 24 febbraio 2023, n. 13, sul Pnrr punta proprio alla semplificazione delle procedure e all’interconnessione organica dei fondi, premesse indispensabili per l’affermazione complessiva del Piano.

Giudichiamo positivamente sia la revisione della governance che presiede all’attuazione del Pnrr sia l’accelerazione delle procedure – continua Mamone – nonché il sostegno alla digitalizzazione, lo sblocco della macchina degli investimenti pubblici, il rafforzamento della pubblica amministrazione nei processi di spesa. Le realtà locali debbono essere pronte a raccogliere la sfida all’interno di obiettivi unificanti, sistematici e coerenti che costituiscono una conditio sine qua non per il successo globale del Piano. Occorrerà, in linea con i dettami comunitari, non perdere mai di vista il riferimento alla valutazione dei progetti, al loro apporto in termini di modernizzazione e di innovazione, al peso della sostenibilità e soprattutto alla loro fattibilità a lungo termine affinché i benefici restino strutturali”.

Il presidente dell’Unsic conclude con un avvertimento: “Pur pienamente concordi nel costruire un’economia sostenibile per le future generazioni e coscienti del ruolo che l’agricoltura può svolgere nella spinta alle rinnovabili, concorrendo già per circa il 10 per cento alla produzione elettrica da fonti d’energia alternativa, mettiamo in guardia da scriteriati investimenti infrastrutturali, specie nel Mezzogiorno: bene il solare, il geotermico, ma basta pali eolici che in nome della sostenibilità hanno già svilito tanti lembi di paesaggio, al Sud e non solo. Meglio puntare sull’idrogeno quale fonte di energia, rendendolo competitivo. Valutiamo importante, in conclusione, per quanto riguarda le opere di scavo, promuovere l’utilizzo di tecnologie ‘no dig’, riducendo così pesanti impatti ambientali”.

 
 
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