Se da un lato le criticità aumentano con l’allarmante chiusura – nel Brindisino – del punto nascita di Francavilla Fontana ed il rischio che altri reparti come l’Utin (Unità di terapia intensiva neonatale, una eccellenza del territorio) seguano la stessa sorte, dall’altro constatiamo ad una totale mancanza di sensibilità e visione di questo governo a trovare soluzioni per correggere la rotta e rimettere in piedi il Sistema sanitario nazionale.
Anzi, i segnali che arrivano e contro i quali daremo battaglia, sono tutt’altro che confortanti al punto da chiedersi se non si stia programmando una vera e propria condanna a morte del servizio pubblico tra quanto previsto dal Documento di economia e finanza (Def), la storica sperequazione del Fondo di riparto per le regioni e quanto si vuol fare avviando il disegno di Autonomia differenziata, giusto per indicare le leve principali su cui si dovrebbe agire per rendere esigibile l’articolo 32 della Costituzione, per il quale la salute è un diritto per tutti i cittadini di questo Paese.
Assistiamo ad esempio ad una fuga, sempre più evidente, di medici e personale sanitario dalla sanità pubblica verso quella privata che diventa sempre più attrattiva non solo dal punto di vista economico ma anche da quello del carico di lavoro e delle responsabilità.
Ebbene cosa si fa nel Def? Si taglia la spesa sanitaria (la più bassa tra tutti i paesi europei) a colpi di mannaia, non si prevedono fondi per le assunzioni, per l’adeguamento delle retribuzioni, per l’innovazione tecnologica. Se una delle prime emergenze è quella di trovare personale – quelli attualmente in servizio non reggono più i pesanti carichi di lavoro – e nulla è previsto in termini di risorse per fare fronte al problema, allora appare evidente che c’è un disegno ben preciso per ridimensionare la sanità pubblica.
Come saranno integrate le carenze che registriamo nei nostri Pronto soccorso, nei nostri reparti che chiudono per mancanza di personale?
E’ inaccettabile questa impronta privatistica sempre più spinta. Al punto tale che nei giorni scorsi tutte le regioni – sia quelle governate dal centrosinistra che dal centrodestra – hanno sottoscritto un appello al governo chiedendo il finanziamento delle spese che hanno sostenuto in epoca Covid lanciando l’allarme sull’impossibilità di sostenere i conti.
Solo il fatto che delle istituzioni pubbliche lancino un allarme del genere è un fatto drammatico che rende la dimensione di dove stiamo andando.
E ancora più drammatico è il monito lanciato dalla presidente della Corte Costituzionale in occasione dell’apertura dell’Anno giudiziario chiedendo l’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) per evitare che l’obsolescenza delle cure mini l’uguaglianza nell’accesso alle prestazioni su tutto il territorio nazionale. E come si risponde a questo bisogno, applicando l’Autonomia differenziata?
La situazione diventa ancor più critica se si pensa anche al fatto che nel Def mancano anche le risorse per costruire la medicina del territorio: come si potrà garantire il funzionamento degli ospedali di comunità o l’assistenza domiciliare se manca il personale a partire dai medici di medicina generale a quello dell’assistenza ospedaliera?
La mancanza di personale mette anche a rischio anche quanto si vorrebbe realizzare con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Appare sempre più evidente che sono in gioco il diritto dei cittadini alla salute e il Servizio sanitario nazionale universale. E’ ora di dare risposte ai bisogni delle persone in termini di salute, ma è anche ora di dare risposte ai lavoratori per questo ci prepariamo alla mobilitazione.