Nursing Up De Palma: «Negli altri Paesi Ue, negli ultimi anni, è cresciuto in modo esponenziale il numero dei professionisti della salute, e si è alzato nettamente, di conseguenza, il livello di qualità dei sistemi sanitari.  Solo da noi la politica sembra non averlo compreso!».

Il paradigma più infermieri-sanità migliore è ineccepibile. Lo hanno capito bene gli altri paesi UE,  mentre l’Italia ristagna nell’immobilismo. Lo lascia intendere chiaramente la nostra analisi, realizzata confrontando i dati Eurostat 2016-2020 in merito alla presenza infermieristica. Aumenta nettamente il gap dell’Italia rispetto agli standard europei.

ROMA 29 LUG 2023 – La sanità italiana è praticamente ferma al palo. Tra il 2016 e il 2020, secondo gli autorevoli  dati Eurostat, la media infermieri nel nostro Paese è passata da 557 ogni 100mila abitanti a 626.

Questo dato trae assolutamente in inganno, dal momento che, nel contempo, nello stesso  arco di tempo, la maggior parte degli altri paesi Ue è nettamente cresciuta dal punto di vista della media di presenza infermieristica, fatta eccezione solo della Spagna che almeno fino al 2020 stava peggio dell’Italia ma che, a quanto pare, negli ultimi tempi, è in netta ripresa. 

I dati Eurostat sono contenuti in report che vengono realizzati a cadenza di 3-4 anni , e da tali report risulta evidente che, la qualità della sanità di un Paese, in questo caso, europeo si analizza in base alla presenza degli infermieri. Lo abbiamo ripetuto più volte: in quelle nazioni del mondo dove la presenza infermieristica è in calo, aumenta nettamente la mortalità dei pazienti, con picchi del 30-35% di mortalità laddove manca personale sanitario.

Ma cosa è accaduto esattamente in Italia negli ultimi anni? La sanità italiana è davvero cresciuta per numero di professionisti?

Praticamente no, siamo in una situazione non solo di immobilismo, ma anzi, i Paesi Europei si sono dati da fare, prima e dopo il Covid, per reclutare i migliori professionisti da altri Paesi e far fronte alle proprie problematiche.

E indovinate da dove , paesi come Inghilterra, Germania e Lussemburgo hanno pescato a piene mani?

Perché, a dispetto della nostra ormai cronica carenza di personale, c’è da dire che i professionisti italiani rimangono tra le figure più ambite e più qualificate del Vecchio Continente, questo anche grazie agli aggiornamenti obbligatori, di cui fanno parte anche i corsi fad ed ecm, che danno modo al nostro personale di studiare in modo flessibile e dove le competenze vengono continuamente arricchite garantendo una crescita professionale costante .

Il dato allarmante, però, è che le nostre competenze le stiamo mettendo al servizio di altri Paesi , a noi vicini,  che nell’arco di tempo analizzato da Eurostat, si sono dati un bel da fare».

Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

«Se nel 2016 la media italiana degli infermieri era, come detto, di 557 ogni 100mila abitanti, e nel 2020 è arrivata a 626, dall’altra parte, gli altri Paesi hanno cominciato a correre innescando la massima marcia.

Nel 2016 il Lussemburgo contava 1.172 infermieri attivi per 100 000 abitanti, seguito da vicino dall’Irlanda con 1.161 professionisti. Svezia, Germania, Finlandia e Francia registravano più di mille infermieri ogni 100.000 abitanti. Già qui è evidente che il gap era enorme.

Nel 2020 le cose, per noi, rispetto agli standard dei paesi Ue, sono addirittura peggiorate. Il gap è aumentato a dismisura.

Nel 2020, la Germania aveva il numero più alto di infermieri attivi tra gli Stati membri dell’UE, con poco più di un milione; questo era notevolmente superiore al secondo numero più alto registrato in Francia (764.000 infermieri professionalmente attivi). A sua volta, il numero di infermieri in Francia è stato il doppio di quello registrato in Italia (373.000 tra dipendenti e liberi professionisti secondo Eurostat), mentre la Spagna (289.000; comprese le ostetriche) è stato l’unico altro Stato membro a segnalare più di 200.000 infermieri.

L’Irlanda aveva 1617 infermieri ogni 100 000 abitanti, seguita a una certa distanza dalla Finlandia con 1357 infermieri ogni 100 000 abitanti (dati 2018). Germania, Francia, Paesi Bassi, Belgio (dati 2018), Svezia (dati 2019), Austria, Slovenia e Danimarca (dati 2019) hanno tutti registrato più di 1 000 infermieri ogni 100 000 abitanti; questo è stato anche il caso del Lussemburgo (dove i dati più recenti disponibili erano per il 2017). In altre parole, vi erano 11 Stati membri dell’UE in cui almeno l’1,0 % della popolazione era costituita da infermieri.

E’ evidente, da questi dati, che tutti gli altri Paesi Ue sono cresciuti, tranne noi.

L’Italia oggi ha un numero di infermieri ogni 100.000 abitanti di 626, inferiore alla media europea di ben 251 infermieri ogni 100.000 abitanti che diventano 337 se il calcolo è effettuato solo sui Paesi aderenti all’Ue che hanno una media di infermiere ogni 100.000 abitanti di circa 963.

C’è da poco da stare allegri, continua De Palma.

L’Italia è tra i Paesi con il minor numero di laureati in infermieristica: 17 per 100.000 abitanti, al quintultimo posto nella classifica generale europea.

L’analisi di questa singolare situazione non finisce qui. Perché siamo agli ultimi posti anche come numero di infermieri nei paesi del G7. 

Per quanto riguarda il numero di infermieri ogni 1.000 abitanti l’Italia (dati OCSE) è anche fanalino di coda nel 2021 con circa 6,6 infermieri contro i 12,1 del Giappone e, penultimo, gli 8,7 del Regno Unito.

Ma quali sono le ragioni di una sanità italiana che non cresce a livello di presenza infermieristica e che quindi è lontana anni luce dagli standard europei?

Le conosciamo bene. Retribuzioni tra le più basse d’Europa, scia di violenze nelle corsie che non accenna ad arginarsi e, udite udite, tristi fenomeni da noi più volte denunciati come quelli degli straordinari non pagati, una drammatica realtà comune a molte regioni italiane.

Tutto questo genera fughe all’estero (arricchiamo gli organici dei Paesi a noi vicini con le nostre competenze) e dimissioni volontarie a raffica. 

E quello degli straordinari non retribuiti è solo la punta dell’iceberg. 

Ci sono colleghi che hanno accumulato centinaia e centinaia di ore di straordinario non pagato, mentre le aziende continuano ad imporgli nuovi ed ulteriori turni di servizio. D’altronde con la carenza di personale in cui versa il nostro SSN, gli enti non possono far altro che chiedere ai dipendenti di fermarsi oltre l’orario di servizio o di effettuare doppi turni, cosa che gli interessati sono chiamati a garantire con enorme sacrificio per la loro vita personale e familiare. 

Si tratta di una situazione non accettabile, in quanto le Aziende fanno svolgere un lavoro che tuttavia provano con svariati modi e stratagemmi a non retribuire », chiosa De Palma.