La sentenza del Tribunale di Lecce per un procedimento promosso dal Sappe più di dieci anni fa

Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe per la Puglia, ne aveva fatto una questione personale.
Sin dal 2012 aveva preso contatto con la moglie di un collega deceduto l’anno prima per un tumore ai polmoni, Monda Salvatore Antonio, per offrirgli la disponibilità del sindacato a promuovere una causa civile contro l’amministrazione penitenziaria per il risarcimento del danno subito per la perdita del marito.
Il collega di Lecce, infatti, non aveva mai fumato ma era stato esposto per decenni al fumo passivo che si addensava nelle sezioni detentive.
Ebbene, a più di dieci anni di distanza, con una sentenza storica e senza precedenti, il Tribunale di Lecce ha riconosciuto le ragioni della vedova Manda condannando il Ministero della Giustizia ad un risarcimento di un milione di euro.

Le motivazioni della sentenza
Chiarissime ed inequivocabili le motivazioni della sentenza.
Nel dispositivo della sentenza il Giudice premette che “… sin da epoca remota vi era consapevolezza sociale e medico-scientifica degli esiti lesivi del bene salute etiologicamente riconducibili all’esposizione a fumo da combustione di sigaretta, come comprovano i plurimi interventi normativi varati dal Legislatore con il fine di garantire tutela ai soggetti esposti a detta fonte morbigena”
E, pertanto, nel verdetto si osserva che “… già in epoca antecedente al 2003 vi era la chiara consapevolezza circa la nocività del fumo derivante dalla combustione di sigarette, con la conseguente adozione e previsione di obblighi e divieti; di contro, per tutto il periodo durante il quale il Monda lavorò negli ambienti carcerari (dal 16.04.1991 al luglio 2011) e, in ogni caso, per il periodo dal 2003 (anno di entrata in vigore della L. n. 3/2003) al 2011 (epoca del decesso di lui), il Ministero convenuto omise di predisporre adeguate misure di prevenzione, di richiedere l’osservanza dell’obbligo di legge di non fumare e di sanzionare i trasgressori (siccome comprovato dalle risultanze della prova orale e documentale sopra riportate), in tal modo favorendo fattivamente l’insorgenza, la manifestazione clinica ed il decorso della patologia tumorale che portò al decesso del Monda, atteso che un significativo abbattimento dell’esposizione al fattore morbigeno avrebbe potuto comunque agire positivamente sui tempi di latenza o di insorgenza della malattia mortale, ovvero sul decorso clinico di quest’ultima, rallentando e/o posticipando l’exitus.”

La perizia del Consulente Tecnico d’Ufficio
A supporto del giudizio espresso c’è la perizia del consulente tecnico d’ufficio.
Infatti, dice il giudice “… dalla relazione del C.t.u. dott. Sandro Petrachi nominato in corso di giudizio (le cui indagini appaiono puntuali, esaustive e corrette e le cui conclusioni questo Giudicante ritiene di condividere, in quanto rigorosamente argomentate dal punto di vista tecnico-scientifico, logicamente motivate e fondate sulla letteratura medico-legale internazionale) si evince la sussistenza, con criterio probabilistico, del nesso causale tra l’esposizione lavorativa del Monda al fumo passivo sul luogo di lavoro e l’insorgere della neoplasia polmonare ed il successivo decesso, tenuto conto che il de cuius non era fumatore, dell’assenza di co-morbilità con efficacia etio-patogenetica tale da assurgere da sole ad elemento causale sufficiente e che, dunque, l’esposizione al fumo passivo, nelle condizioni poste, aveva inciso in maniera determinante; si evince altresì che la patologia neoplastica aveva ridotto l’aspettativa di vita del Monda, deceduto a 44 anni, che sarebbe stata di circa 82 anni.”
Ciò non di meno, “… A fronte di tanto, il Ministero convenuto (sul quale, in qualità di datore di lavoro, grava il relativo onere probatorio) non ha dimostrato in giudizio di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato in concreto tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo.”

Le conclusioni del Magistrato
In conclusione, il Magistrato stabilisce che: “Può dunque ritenersi raggiunta la prova in ordine alla sussistenza tanto dell’elemento soggettivo (la colpa del Ministero) quanto dell’elemento oggettivo (evento e nesso causale tra condotta e malattia e successivo decesso del Monda), necessari al fine di ritenere la sussistenza della responsabilità dell’illecito in capo al convenuto.”
E quindi, viene inequivocabilmente riconosciuta la responsabilità del Ministero della Giustizia, in qualità di datore di lavoro, per non aver tutelato adeguatamente i poliziotti penitenziari dai danni derivanti dal fumo passivo del quale sono letteralmente invase le sezioni detentive.

La possibilità per tutti i poliziotti penitenziari non fumatori di agire in giudizio
E da questo riconoscimento di responsabilità non potrà che conseguire il diritto di tutti gli agenti della Polizia Penitenziaria, non fumatori, che hanno riportato un qualsiasi danno biologico all’apparato respiratorio e/o cardio-circolatorio, di chiedere un risarcimento e, comunque, il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della patologia patita.

Il rischio di ricorsi giudiziari anche dei detenuti non fumatori
E, addirittura, direi che non possono essere escluse possibili azioni giudiziarie anche da parte di detenuti non fumatori che potrebbero portare a conseguenze ancora più devastanti per il sistema penitenziario di quelle della famigerata sentenza Torreggiani.

Giovanni Battista de Blasis

Leggi il comunicato del Segretario Nazionale Federico Pilagatti
Carceri: Tribunale Civile Lecce dice stop a omicidi di Stato  e condanna Ministero Giustizia a pagare un milione di euro per la morte, per fumo passivo, di un poliziotto penitenziario
Abbiamo scritto, invocato, pregato i Capi del DAP, i Ministri della Giustizia e della Salute e, perfino, il Capo dello Stato.

Abbiamo chiesto aiuto ai Garanti  dei detenuti, ai  radicali, ai professionisti delle carceri perché si intervenisse per fermare  questo avvelenamento giornaliero per decine di migliaia di persone, che nel migliore dei casi portava a patologie connesse con il fumo passivo (malattie cardiache, respiratorie, ecc. ecc.) nel peggior caso a tumori con la morte dei lavoratori.

Eppure, il diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della nostra bella Costituzione (la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività,) non vale per la Polizia Penitenziaria poiché costretta dalla legge a lavorare nell’unico ambiente di lavoro in Italia ove ai detenuti è consentito di acquistare e fumare liberamente, e quindi avvelenare chi sta vicino con il fumo passivo   così come riconosciuto da tutti gli studi scientifici.

Ci abbiamo provato finanche qualche mese  fa con il Ministro della giustizia Nordio che ad un interpellanza parlamentare  sulla materia,  laconicamente scriveva ”Infine quanto alla doglianza circa il fumo passivo, va osservato che all’interno dei penitenziari il consumo di tabacco rappresenta una delle modalità ”compensative” cui la popolazione detenuta reclusa ricorre a fronte del disagio derivante dallo stato di privazione  materiale e psicologica connesso alla condizione detentiva; ragion per cui, un intervento  drasticamente  riduttivo della possibilità di fumare potrebbe avere effetti destabilizzanti” , senza nemmeno una parola  per chi era costretto  ad avvelenarsi   giornalmente per 8/10 ore   che non è solo la polizia penitenziaria, ma anche  gli  altri operatori, i detenuti ecc. ecc.

Il SAPPE ritiene che con queste parole il ministro Nordio ha affossato lo stato di diritto e la  costituzione Italiana   condannando decine di migliaia di persone alla malattia ,  oppure alla morte.

Fortunatamente così come avvenuto tante volte in Italia, c’è stato   un coraggioso magistrato nel tacco dell’Italia che guardando esclusivamente alla costituzione ed alla legge, ha reso giustizia  a tanti poliziotti che in questi anni si sono ammalati oppure sono morti tra l’indifferenza dei loro boia che, pur a conoscenza della situazione non hanno mai fatto nulla, anzi  hanno pure  costretto  i sopravvissuti a  vivere una vita nel dolore, e con la preoccupazione   di dover  mettere a tavola il pranzo o la cena, poiché era venuta a mancare l’unica fonte di reddito.

Ebbene la dottoressa  Silvia Rosato del Tribunale  civile di Lecce con la sua sentenza n.2407/2023  pubblicata il 5 Settembre  u.s. ha posto fine a questa ingiustizia che si perpetrava da anni ,   riconoscendo le gravi colpe  dei responsabili amministrativi e politici del ministero della giustizia, che pur sapendo cosa stava avvenendo nelle carceri, nonché  dei pericoli a cui andavano incontro  i poliziotti nulla ha fatto negli anni, per mitigare il pericolo del fumo passivo che riempiva i corridoi delle sezioni detentivi e delle stanze dei detenuti, anche perché il ricambio dell’aria   era quasi inesistente .

Così  con questa sentenza che è la prima in Italia e pensiamo nelle nazioni democratiche,  il  collega morto a 44 anni di tumore ai polmoni, senza aver mai fumato nella sua vita  ma costretto ad inalare nella sua breve vita  per ore ed ore il fumo passivo durante l’orario di lavoro potrà riposare in pace, mentre la moglie potrà avere  un pur minimo riconoscimento per l’immane dolore sopportato,  e le gravi fatiche per andare avanti e tirare su tre bimbi piccoli.

Una causa durata ben 12 anni che è stata possibile vincere grazie allo studio legale Putignano di Bari, Nicola e Sandro,  con l’avvocato  Angela Contento   che,  oltre alla professionalità ed alla pazienza hanno anche  offerto la disponibilità economica per affrontare il procedimento(perizie e spese varie),  che servirà ai tanti colleghi in servizio o in pensione, al fine di  vedersi riconosciuto il dolore per le  tante malattie, anche gravi, subite per colpa  grave di dirigenti statali che dovevano tutelarli e non avvelenarli.

Sia chiaro il SAPPE, sindacato autonomo polizia penitenziaria, è ben cosciente che la sentenza non elimina le gravi problematiche connesse  al fumo passivo poiché le strutture penitenziarie sono quelle che sono, come pure  sappiamo che non si può togliere la possibilità ai detenuti di fumare del tutto, ma quello che chiediamo con urgenza  è:

Installare nelle sezioni detentive il maggior numero di aeratori possibile;
Riconoscere  tutte le patologie contratte dai lavoratori  connesse con il fumo passivo dipendenti da causa di servizio con categoria;
dotare i poliziotti di presidi sanitari ( mascherine) per una maggiore protezione dal fumo;
prevedere un indennità specifica per i poliziotti che lavorano a contatto con la popolazione detenuta, per compensare  il rischio sanitario a cui vanno incontro .
Il SAPPE chiede  al Presidente della repubblica MATTARELLA di intervenire  presso il Ministro NORDIO  affinché   non proponga  nessun appello  poiché le responsabilità sono chiare e dimostrate, per cui  un ricorso servirebbe  solo per perdere tempo e  non per  fare giustizia uccidendo un’altra volta il collega morto,  e lo  impegni a presentare le richieste del SAPPE già al prossimo consiglio dei ministri, come primo atto di risarcimento  per i danni causati a migliaia di  poliziotti,  costretti a lavorare in ambienti altamente inquinati per anni.