Correva l’anno 2017 quando fu decisa l’uscita dalla produzione di energia elettrica da carbone entro il 2030. Era gennaio 2021 quando l’Enel chiuse il gruppo 2 della centrale Federico II di Cerano precorrendo i tempi della decarbonizzazione. Dal 2017 la Camera del lavoro di Brindisi ha lanciato allarmi sul tema dell’occupazione, progetti, idee di riconversione per arrivare all’appuntamento col «phase out» preparati, evitando di subire gli effetti nefasti della decarbonizzazione per centinaia di famiglie brindisine. E non solo per quelle dei lavoratori diretti e dell’indotto della centrale Enel ma anche per quelle delle attività e dei settori economici ad esse connesse.
Siamo ad ottobre 2023, sono passati sei anni dal primo annuncio, tutti i gruppi di Enel sono spenti a Brindisi così come in tutte le centrali termoelettriche italiane. La catastrofe è arrivata e pur sapendolo il governo non ha prodotto nulla. Mentre il Titanic affonda sembra ancora tutto intento a lucidare le maniglie se ancora a oggi si parla di «tavoli e tavolini» finora del tutto inconcludenti dal momento che verso Brindisi non è stato indirizzato un solo euro, non è stato autorizzato ancora alcun progetto, non si ha ancora idea di quali e quanti fondi si debbano stanziare per fronteggiare una delle crisi industriali più gravi della storia di questo territorio che si somma a quella in atto sul fronte della Chimica e dando vita ad un combinato disposto micidiale.
Nell’ordine abbiamo visto Brindisi esclusa dal Just transition fund, delle risorse del Piano di ripresa e resilienza non si ha contezza, i Fondi di coesione sociale sono bloccati, è sparito del libro delle buone intenzioni anche la costruzione della gygafactury modello Catania. Altro dato certo è che si è impiegato un anno, solo per istituire il Comitato di coordinamento per la riconversione delle centrali a carbone di Brindisi e di Civitavecchia e si è dovuto prendere atto che per le due città, come riferì il ministro delle Imprese e del Made in Italy in un question time, non c’erano risorse.
E’ ora che il governo si svegli e prenda atto che la decarbonizzazione – che se affrontata col piglio giusto avrebbe potuto essere una occasione di rilancio della nostra economia – non diventi una bomba sociale. E’ ora che il governo si svegli e decida una politica industriale per questo Paese e per Brindisi in particolare. E’ ora che si sblocchino risorse e progetti in tempi brevi per quelli già disponibili e si dia corso ad un vero e proprio piano Marshall per questo territorio creando nuove occasioni di sviluppo. Perché al di là dei dove nell’arco di «tavoli e tavolini», ministeriali o interministeriali che siano, le chiacchiere stanno a zero. E la realtà è fatta di aumento di povertà relativa e assoluta, di emigrazione, di fuga di cervelli e di giovani visto che secondo una recente analisi condotta da Enea – su fonti ufficiali Istat ed Eurostat – dal 2001 al 2020 la popolazione della provincia di Brindisi è diminuita di 19 mila unità.
La Cgil di Brindisi non resterà a guardare e solleciterà il governo in tutti i modi ad accendere i riflettori su questo territorio in cui la chiusura dell’era del carbone è arrivata senza muovere un dito per contrastarne gli effetti.
Antonio Macchia
Segretario Generale
Cgil Brindisi