In edicola dal 2 novembre il numero 700 colorato di Zagor, intitolato “La foresta dei destini incrociati”: le stagioni del coraggio e della paura.
Romano Pesavento
Sarà in edicola, dal 2 novembre, l’attesissimo numero 700 colorato di Zagor, intitolato “La foresta dei destini incrociati”, edito Bonelli, firmato da Giorgio Giusfredi e disegnato da Alessandro Piccinelli.
L’albo di novembre si apre con un curioso, per gli appassionati di Zagor, flash back relativo ai primi atti della grande amicizia tra Cico e lo Spirito con la scure; il simpatico amarcord sfuma presto in tutt’altra atmosfera: cupa e lisergica al tempo stessa.
Le pagine si susseguono incalzanti, avvicinando sempre più il lettore a una scoperta terrificante: la vulnerabilità estrema di chi sembrava invincibile, inviolabile o perlomeno estraneo alle ingiurie intollerabili del tempo, che, invece, deturpa e annichilisce i comuni mortali senza pietà. La geniale intuizione narrativa di Giusfredi propone una versione veramente inedita della crisi dell’Eroe; molte volte i grandi personaggi attraversano fasi difficilissime: ferite mortali, per esempio, che li conducono quasi alla fine del loro cammino; ma poche volte l’incarnazione della prestanza, della potenza e della giovinezza viene “traslata” in una forma di debolezza estrema e vulnerabilità totale. Il corpo indebolito e poco reattivo sembra quasi un problema secondario rispetto a una mente che, annebbiata, smarrisce la consapevolezza di sé, o balugina in un delirio perenne, tra piani temporali del proprio vissuto improbabilmente sovrapposti.
I disegni di Piccinelli, molto espressivi e icastici, corrono insieme alla storia, permettendole di “rappresentarsi” in maniera vibrante, dinamica e mai scontata, nelle inquadrature dei dettagli e negli scorci ad ampia gittata.
Intanto i “cattivi” provano ad appropriarsi degli aspetti più “immateriali” e più evocativi di Zagor Te-Nay: il prestigio, il carisma, la personalità, cercando di depauperarne la forza vitale e la credibilità presso le tribù, non uccidendolo, ma… .
Un grande tabù dei nostri tempi, la demenza, viene affrontato con un taglio decisamente personale, introspettivo e profondo, che invita alla riflessione.
Zagor, anche qui una trovata inaspettata, rimane ferito dalla sua scure, per sua scelta; indubbiamente gli aspetti metaforici / simbolici non mancano: passato e presente dei personaggi sono indissolubilmente legati; una sorta di karma cosmico guida e abbraccia con imperioso potere ciascuno di loro. In qualche modo hanno ricoperto, a turno, l’uno per l’altro, il ruolo di maestro e discepolo. Il fulcro della interazione e dell’esperienza umana rimane un concetto molto semplice: nessuno si salva da solo. E tutti possono avere bisogno degli altri. Indipendentemente dall’età, come dimostra l’ultimo scatto di generoso orgoglio dell’indomito Beengreen.