Il dott.  Franco  Colizzi, psichiatra,  tra l’ altro  ex   Direttore del      Centro  di  Igiene  Mentale   di Brindisi,   è da   sempre  attento,  oltre  che  alle problematiche  sociali, dei   fragili, più deboli  e bisognosi,   ad  un   “ modo di far cultura  , anche originale, che  possa  coniugare,  in una visione  a largo raggio  della nostra   vita e del mondo,  la storia,   la memoria, l’ analisi  con  le  speranze  e il futuro “.

Martedì   prossimo, alle ore  18, presso  il  Centro Culturale Macramè   a Brindisi ( in  Via  Islanda   87, al  quartiere   Bozzano) verrà  presentata  la sua   ultima   opera      IL MASSACRO  DELL’ INNOCENZA,  un  “dramma  in  tre  atti  che, partendo  dai   Vangeli,  ci  parla  della realtà  attuale  “.

Interverranno    all’  iniziativa,  oltre  al  dott.  Colizzi,   Raffaele  Romano  ( Presidente     Comitato   Provinciale  UNICEF ),    alcuni  brani  del  libro saranno    letti    e presentati   da  Alessandro  Carlino   e  Nicolò  D’Alessio, studenti, del Corso di Recitazione attivato anche quest’anno dal TEATRO KOPO’ di BRINDISI. 

“La strage degli innocenti su ordine di Erode il Grande, raccontata solo in uno dei Vangeli canonici, quello di Matteo, probabilmente non è mai avvenuta.
Ma sono invece innumerevoli gli eccidi, le uccisioni, i maltrattamenti, gli abusi, le violenze di ogni tipo sui bambini in tutto il mondo.
Per questo la storia della strage di Betlemme è insediata potentemente nell’immaginario collettivo. Essa ha sempre esercitato una potente suggestione su artisti di ogni tempo e su vasti strati della popolazione.
Ed è indubbia l’altissima attenzione del Gesù storico per i bambini, la cui rinnovata innocenza egli propose agli adulti di recuperare per ottenere la salvezza.”
L’incubo ricorrente di un eccidio di bambini amareggia le notti del giovane Gesù, fino a quando scopre della strage degli innocenti ordinata da Erode.

In Gesù, il sopravvissuto, l’incubo trapassa in un immenso sogno: annunciare il Regno della nuova innocenza.
La sua predicazione però esige che egli stesso venga ucciso. Il sacrificio di Cristo sulla croce basterà a porre termine ai massacri e agli abusi dell’infanzia?
L’avvicinarsi del Natale e la drammatica situazione in Palestina rende ancora più attuale e interessante questo incontro che vedrà la partecipazione del rappresentante provinciale UNICEF di Brindisi Raffaele Romano.

 

Francesco Colizzi, nato e vive ad Ostuni, in Puglia.
Psichiatra e psicoterapeuta, è stato direttore del Centro di Salute Mentale di Brindisi. Impegnato nel volontariato internazionale, è stato per sei anni presidente nazionale dell’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau.
Ha pubblicato libri creativi e di saggistica: Inseguendo le cose (Schena 1996), Danzatori e orchestrali (Barbieri 1998), Un potere più grande (La Meridiana 2010), Eutopia (La Meridiana 2012), L’aggiustatore di destini (Manni 2015), La suggeritrice (Manni 2021).


Il massacro dell’innocenza 

RECENSIONE DELLO SCRITTORE PROFESSOR NELLO CIRACI

Presentare un libro, il testo di un lavoro destinato al teatro, dovrebbe partire sempre da un momento iniziale: il suo aspetto letterario, la forma che non è solo involucro di parole. È invero la forma drammatizzata, cioè il racconto nelle sue fasi e attraverso i suoi personaggi, le immagini usate, le emozioni suscitate. Il romanzo, il testo drammatico è una rete gettata sul lettore che deve saper catturare, coinvolgere rendendolo coprotagonista. 

Il libro di Franco Colizzi che aspira a essere una pièce teatrale è un testo severo per temi e problematiche ma avendo l’autore saputo soddisfare i criteri su esposti, la lettura è gradevole, fluida e coinvolgente. Il tema è quello della strage degli innocenti ordinata da Erode. Ma il titolo del lavoro di Colizzi è Il massacro dell’innocenza. Innocenti per quanti siano stati, siano e saranno le vittime è categoria concreta, pochi o tanti che siano il numero è, per dirla brutalmente, finito mentre innocenza è termine astratto, categoria generale e dice il valore dell’innocenza in sé. Il massacro allude alla fine dell’innocenza come condizione umana. Forse da quando fummo cacciati dall’Eden. 

Cristo è vittima di un ricorrente incubo e scopertane la causa si sente colpevole perché scampato alla strage: quasi un privilegio per lui che voleva essere l’ultimo. Ma il Cristo richiamato da Colizzi è quello che nell’orto del Getsemani suda sangue e si rivolge al Padre che non gli risponde. Il pensiero va subito al poema di Alfredo de Vigny dal titolo appunto Il monte degli ulivi. Anche lì il Cristo prega il Padre di completare la salvazione dell’uomo ma anche lì il Padre non risponde. La conclusione del poeta è amara…al silenzio dell’eterno…il giusto opporrà il suo silenzio.

Colizzi però ritorna e insiste sulla figura del Cristo che verrà a noi sulle acque della storia e noi andremo a Lui attraverso l’abisso sul filo della sua grazia. E faccio notare per inciso la bellezza stilistica di simili espressioni a conforto della gradevolezza della lettura detta sopra. Ricordo così che fare del Cristo, quello inveratosi nella nostra storia, la figura centrale, è un richiamo al mistico senza Dio. Espressione con cui è stato definito Antoine de Saint-Èxcupéry (quello de Il Piccolo Principe). Tema che ho altre volte individuato nelle cose scritte e dette…e fatte da Colizzi.

Ci sono poi i bambini, la loro strage, la loro strage che continua in guerre, carestie, violenze di tutti i tipi. Bambini che sollecitano e interrogano la nostra distratta genitorialità non nel ristretto senso di padri e madri dei nostri figli ma in quello di responsabili della nostra specie e umanità. E proprio la parola innocenza del titolo trasforma, a un certo punto, i bambini in una forte metafora. Il potere, dice Colizzi, distrugge dovunque i bambini, cioè gli umili, gli indifesi, gli esclusi che potenzialmente con le loro richieste e rivendicazioni, con la loro stessa esistenza minacciano i potenti e la tavola del ricco epulone.

Gesù si sente in colpa ben sapendo che tutt’altra è la sua missione, per non dire destino e forse direi meglio la sua venuta tra noi, nella storia. Colizzi infatti dice Ecco colui che è capace di sopportare i peccati del mondo e di cancellarli. Senza scadere nella pedanteria il verbo tollit dell’agnus Dei è voce del verbo tollere che significa sollevare, prendere e che al perfetto e al supino fa sustuli e sublatum che sono gli stessi del verbo fero che significa portare: Prendere e portare su di sé, come il capro espiatorio, quello che i nostri cugini francesi chiamano bouc émissaire in cui è chiara l’immagine degli antichi popoli: il capro che ogni anno caricato dei peccati era avviato nel deserto per disperderli. Per quei popoli il tempo era ciclico e sapevano che tutto poteva ritornare. Per noi il tempo è rettilineo perciò diciamo che abbiamo bisogno di fare memoria e con ciò diciamo: È stato, è avvenuto, altri hanno fatto, commesso atroci colpe. Quando dovremmo dire: Noi siamo capaci di fare questo e l’abbiamo fatto e possiamo rifarlo. Sicché per tutto ciò che abbiamo visto e per il massacro dell’innocenza vale anche per noi quello che dice Clamence, le juge pénitent de La Caduta di Camus: da quando sentimmo cadere una ragazza nel fiume e non accorremmo noi non siamo testimoni ma complici. Nel tempo del massacro, dei massacri vale per noi una definizione nata per altra problematica ma che nella sua generale sinteticità vale per tutti: Siamo degli assassini innocenti. Innocenti perché non ancora direttamente attori; assassini perché nulla di ciò che è umano e/o inumano ci è estraneo. Nella comunità umana siamo innocenti e potenziali assassini.

Le madri: sempre il loro pianto. Piange Rachele; Niobe orgogliosa piange in eterno con occhi di pietra. È un pianto senza fine perché per loro non potrà avvenire il miracolo e continueranno a sentire il puzzo della carne bruciata, vedere piccole teste mozzate e trafitte, camini che vomitano umanità combusta. Non potrà esserci miracolo per loro e mi chiedo e chiedo a Franco: Ma Cristo non aveva resuscitato Lazzaro? Sarà questo il miracolo della nuova innocenza dopo che i persecutori cadranno dai loro cavalli per strada folgorati dalla verità?  Franco venne un giorno a trovarmi, parlammo di tanto e del libro; a un certo punto mi disse: c’è una parola per chi ha perso il marito: vedova; per chi ha perso i genitori: orfano; per chi è stato abbandonato alla ruota: figghje de Crište. Non c’è termine per dire la madre che ha perso il figlio. Gli suggerii un’espressione del dialetto che ho appreso da mia madre: digghje jesse mamma. Capiresti se fossi mamma. Tanto è profondo l’abisso del suo dolore e del suo amore.

In tempi di non militante e teorizzato femminismo qualcuno ebbe a scrivere: Dio ha un cuore di madre (H. de Balzac). Vorrei aggiungere solo: se Dio c’è si rivela nell’amore e nel perdono delle madri.