I recenti dati della Banca d’Italia evidenziano l’incertezza che caratterizza l’economia e la crescita della Puglia e, con essa, di Taranto e di Brindisi, già aree territoriali integrate in quella terra d’Otranto che l’avvento della dittatura fascista volle separare. Separazione che, probabilmente, ne ha indebolito la forza contrattuale necessaria per contare almeno quanto altre realtà che nulla in più possiedono, in bellezze naturali ed opportunità produttive; caratteristiche, quest’ultime, che pur hanno reso strategiche le due realtà del contesto nazionale ed europeo.
Tra queste opportunità figurano a Taranto lo stabilimento siderurgico, tra i più grandi d’Europa ed a Brindisi la Centrale elettrica più grande del nostro Paese, risultata essenziale per la stabilità del sistema elettrico nazionale.
Ebbene, la storia dell’ex Ilva, oggi Acciaierie D’Italia, continua a caratterizzarsi come questione produttiva e occupazionale che genera diseconomie, lavoro precario, insicurezza sul lavoro, alterazione ambientale, relazioni sindacali incerte e conflittuali, tensioni nella comunità ionica; insomma un disastro! Eppure si continua a sostenere a parole – per noi invece è un dato di fatto – che la transizione energetica, industriale, tecnologica e sociale non potrebbe prescindere da quella realtà che implementa il Pil regionale e del Paese.
E’ ora che si ascolti il grido di dolore di una intera comunità e dei circa 20mila lavoratori diretti e indiretti, affinché Invitalia, socio di minoranza ma certamente di maggior peso specifico in termini di responsabilità politica, istituzionale e sociale, richiami l’altro socio Arcelor Mittal ai suoi doveri di responsabilità, se credibilmente si considera Acciaierie D’Italia azienda strategica per l’economia del Paese (ex D.L. 2/2023). Abbiamo sempre sostenuto, come Cisl, l’importanza del settore industriale per lo sviluppo del territorio, perché è a partire da esso che si crea valore aggiunto al sistema produttivo ed alla crescita economica; soprattutto se si concretizzano gli investimenti previsti dalla transizione energetica ed industriale che, solo per l’ex Ilva, si quantificano in circa 5 mld di euro.
Si dia, dunque, corpo ad un piano industriale complessivo che contenga aspetti economici, produttivi, ambientali, occupazionali, anche ridisegnando un codice etico che includa diritti, doveri, responsabilità e rispetto reciproco di tutte le Parti in causa, pena il fallimento totale di un progetto industriale che non riguarda solo Taranto bensì la nazione intera.
Analogo destino rischia di replicarsi a Brindisi, con il processo di de-carbonizzazione della centrale elettrica Federico II, sul quale giorni addietro si è tenuto il Comitato di coordinamento (ex D.L.50/2022), istituito con emendamento a firma degli Onn. D’Attis e Battilocchio, per le Centrali a carbone di Brindisi e di Civitavecchia.
Tale Comitato deve confermarsi, a nostro avviso, sede in cui valutare soluzioni per il rilancio delle attività imprenditoriali ed occupazionali dell’intera area industriale del territorio, coinvolgendo non solo Enel bensì tutti gli altri player presenti sul territorio, compresi quelli che prevedono investimenti all’interno del porto e del retro porto. E vanno resi esigibili tutti i fabbisogni occupazionali in termini di quantità e qualità. Da qui la nostra richiesta di un tavolo di sviluppo, dove siedono responsabilità e competenze, comprese quelle dell’istruzione e della formazione, poiché se parliamo di riqualificare il lavoro è necessario mettere in campo le giuste professionalità, del mondo della scuola, dell’università, della ricerca, degli organismi bilaterali, ecc.
La scelta di passare nelle mani del sindaco di Brindisi, il coordinamento del Comitato in questione, potrebbe velocizzare e trovare soluzioni praticabili e finanziabili, a condizione che non si perda la sensibilità e l’attenzione del Governo nazionale verso tale vertenza importante, delicata ed inedita e che certamente non può essere lasciata alle sole potenzialità del territorio.
Quanto, ancora, alla complessità del processo di de-carbonizzazione in itinere, come succitato, lo stesso non può coinvolgere esclusivamente il perimetro societario dell’Enel, perché rischierebbe di produrre scarsi risultati, in quanto interessa buona parte del sistema produttivo del territorio gravato da altre vertenze, tra cui la dichiarata chiusura di uno dei due impianti (il P9T) di LyondellBasell all’interno del Petrolchimico.
Per questo, come Cisl, più volte abbiamo chiesto un tavolo di sviluppo, per conoscere quali scelte di politica industriale intendono compiere i grandi player che per decenni hanno usufruito qui di mano d’opera diretta ed indiretta, mentre oggi c’è chi pensa di fermare il treno dello sviluppo come se si fosse arrivati all’ultima stazione, dopo aver raccolto tutti i frutti possibili. Va compreso, quindi, perché non vengano avviate le procedure propedeutiche agli investimenti, come ad esempio quelli di Enel Logistics, divenuti ormai uno slogan da evocare a cadenze stabilite.
Chiediamo, pertanto, chiarezza sull’imminente piano industriale di Enel e sulle concrete ricadute per Brindisi, auspicando che esso sia compatibile con i pesanti problemi occupazionali che già si affacciano nell’appalto e nell’indotto di quella realtà; oltretutto, auspicheremmo una diversa impostazione programmatica in merito al phase out dal carbone per rispondere meglio ad una strategia energetica nazionale già messa fortemente alla prova, dopo l’invasione dell’Ucraina e per i noti problemi di nostra dipendenza dal gas spostatasi dalla Russia ad altri Paesi a forte instabilità politica.
In alternativa sarebbe opportuno rivedere la posizione di Terna ed investire nella riconversione delle unità a carbone con nuove unità a gas, se si intende realmente caratterizzarsi come hub energetico al centro del Mediterraneo ed essere riferimento strategico per i traffici turistici e soprattutto commerciali.
Allora, crediamo che serva responsabilità, tanto sindacale quanto politico-istituzionale e del sistema produttivo, nell’approccio alle delicatissime questioni fin qui esposte, senza demagogie né strumentalizzazioni. Purtroppo, a nostro avviso, a Brindisi e a Taranto si sta procedendo senza una linea guida chiara, trasparente, concreta e non si considera lo stato d’animo di chi nelle rispettive realtà produttive lavora traendone l’unica fonte di reddito; senza tacere, altresì, sui rischi di irreversibilità se l’incertezza produttiva ed occupazionale dovesse perpetrarsi rendendo definitivamente ingovernabili entrambi i sistemi produttivi.
Sistemi e territori che richiedono analoghe strategie per sviluppo e nuova occupazione, quotidianamente interessati come sono da stati di agitazione e scioperi, storici strumenti democratici messi in campo dai sindacati confederali che, però, innanzitutto rivendicano partecipazione, coinvolgimento e corresponsabilità sociale nelle scelte da compiere per il bene delle rispettive comunità.
Gianfranco Solazzo