Capece (SAPPE) sul sovraffollamento delle carceri: siamo stanchi di sentire – OGGI – le chiacchiere di chi – IERI – poteva fare qualcosa e non lo ha fatto
Troppo comodo parlare di indulti ed amnistie. Servono riforme strutturali del sistema penitenziario
Per il leader del SAPPE, “qualcuno” sembra scoprire solo oggi il sovraffollamento delle carceri italiane dopo che per mesi (ed anni) non ha detto una parola sui provvedimenti sopraggiunti, nel tempo, che hanno destabilizzato il sistema e destrutturato la sicurezza nei penitenziari.
Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, se la prende con chi, in questi ultimi giorni, sta cavalcando il grave problema del sovraffollamento delle carceri per fare polemica politica: “Non accetto di essere preso in giro da chi solo oggi finge di essersi accorto della gravissima crisi penitenziaria, strumentalizzando il sovraffollamento allo scopo di proporre indulti, amnistie e leggi svuotacarceri. “In alcuni casi si tratta, addirittura, di chi nel recente passato ha avuto incarichi di governo, sottogoverno o, comunque, amministrativi, che gli avrebbero permesso di fare qualcosa per risolvere la situazione e non ha fatto nulla,”
“Altri personaggi che oggi si arrogano il diritto di suggerire soluzione ed interventi”, prosegue, “sono gli stessi che IERI hanno assistito inerti e silenti alla soppressione della sanità penitenziaria ed alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Provvedimenti che, congiuntamente, hanno ‘riversato’ nelle carceri italiane decine di migliaia di detenuti malati di mente, tossicodipendenti e affetti da malattie infettive. E altri ancora, sono gli stessi che hanno plaudito quando ci siamo fatti travolgere dagli effetti della famigerata ‘Sentenza Torreggiani’ introducendo un assurdo regime di vigilanza dinamica e celle aperte. Modello organizzativo che ha sostanzialmente consegnato le carceri ai detenuti.”
“Il SAPPE crede sia davvero giunta l’ora di ripensare l’esecuzione penale mettendo da un lato i fatti ritenuti di un disvalore sociale di tale gravità da imporre una reazione dello Stato con la misura estrema che è il carcere: e dall’altro, anche mantenendo la rilevanza penale, indicare le condotte per le quali non è necessario il carcere”, evidenzia. “Una opzione di questo tipo dovrebbe ridisegnare il sistema a partire dalle storture determinate dal doppio binario per i recidivi, dalle norme in materia di immigrazione e dalla individuazione delle risorse per affrontare il tema delle dipendenze e dei disturbi mentali fuori dal carcere”, spiega Capece.
“Si potrebbe quindi ipotizzare un nuovo sistema penitenziario articolato su tre livelli”,: “il primo, per i reati meno gravi con una pena detentiva non superiore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale è l’istituto della “messa alla prova”; il secondo livello è quello che riguarda le pene detentive superiori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare. Il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario”, conclude il leader del SAPPE. “Nell’ambito delle prospettive future occorre dunque che lo Stato, pur mantenendo la rilevanza penale, indichi le condotte per le quali non è necessario il carcere, ipotizzando sanzioni diverse, ridisegnando in un certo senso l’intero sistema, anche perché il sovraffollamento impedisce di fatto la separazione dei detenuti. E la Polizia penitenziaria, che riteniamo debba connotarsi sempre più come Polizia dell’esecuzione penale oltreché di prevenzione e di sicurezza per i compiti istituzionali ad essa affidati dall’ordinamento, è sicuramente quella propriamente deputata al controllo dei soggetti ammessi alle misure alternative”.