“È indubbio che una esperienza come quella che si è tenuta oggi a Roma di realizzare una cella in piena città possa provocare un significativo impatto emotivo nelle persone. Va però detto che si tratta di eccezionalità e non della ordinaria situazione penitenziaria della Nazione, in cui, nonostante le oggettive difficoltà legate al costante sovraffollamento, il personale di Polizia Penitenziaria garantisce i diritti soggettivi dei detenuti con grande professionalità, abnegazione, senso del dovere e umanità. Piuttosto, quella di oggi è stata una occasione persa per dare una reale situazione di quel che avviene nei nostri penitenziari”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, commentando l’iniziativa del quotidiano “Il Dubbio” che ha permesso a tutti i cittadini la possibilità di provare per 5 minuti cosa significa essere reclusi in un carcere.
“Credo, infatti, che si sarebbe potuto spiegare come lavorano coloro che in carcere rappresentano lo Stato, ossia le donne e gli uomini appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria”, spiega il sindacalista del SAPPE. “Ogni giorno giungono notizie di aggressioni a donne e uomini del Corpo in servizio negli Istituti penitenziari della Nazione, contusi, feriti, umiliati e vittime di violenze da parte di una parte di popolazione detenuta che non ha alcuna remora a scagliarsi contro chi in carcere rappresenta lo Stato. Sono infatti continue le aggressioni al Personale di Polizia Penitenziaria che si verificano senza che vi sia un intervento da parte degli organi superiori. E questo convince i detenuti, specie quelle più violenti, che possono fare quel che vogliono, restando impuniti. È una vergogna!”.
“Peccato, dunque, che si continui ad ignorare o a fingere di ignorare”, sottolinea Capece, “il duro e difficile lavoro del poliziotto penitenziario. Stiamo valutando, come SAPPE, di realizzare anche noi, come SAPPE, una Sezione detentiva dove fare vedere il servizio quotidianamente svolto da donne e uomini che, ogni giorno, sorvegliano soli Reparti con 50/100 detenuti, hanno a che fare con ristretti che mettono a repentaglio l’ordine e la sicurezza della sezione detentiva, che si confrontano a detenuti con in mano una o più lamette intrise di sangue, o con una padella piena di olio bollente tra le mani pronta per essere buttata in faccia all’operatore, o una busta di pipì o di feci, o con un piede di tavolino in mano pronto ad essere scagliato contro un poliziotto …”.
“Forniremo loro l’ebrezza di sentire in un colpo solo gli odori e le puzze delle celle, ascoltare gli insulti nelle varie lingue del mondo, conoscere le varie etnie. Ma anche fare contemporaneamente il poliziotto, l’infermiere, il medico, lo psicologo, l’educatore…”, conclude il leader nazionale dei Baschi Azzurri del primo Sindacato del Corpo.