Il G7 di Borgo Egnazia in Provincia di Brindisi, si svolgerà in un contesto nel quale i seppur fragili equilibri garantiti dalla “Guerra fredda” sembrano ormai un lontano ricordo, al locus amoenus che ospiterà i “Sette”, fanno da contraltare le tragiche prospettive che si aprono in un inquietante scenario dominato da conflitti regionali e internazionali. Agli arrivi di celebrità e  

politici in terra di Brindisi, si contrappongono gli arrivi di disperati che partono per fuggire dalla  fame, dalla guerra, dalla disperazione e dagli effetti di un clima oramai al collasso.  

Il Mediterraneo, crocevia di culture millenarie che per secoli si sono intrecciate tra loro e che  hanno beneficiato l’una dell’altra, da fonte inesauribile di ricchezza per le nazioni è divenuto  la tragica frontiera sud dell’Europa. In esso confluiscono problematiche e conflitti creati e poi  dimenticati dall’Occidente. Dalla Libia alla Siria attraversando il Mar Rosso fino allo Yemen  ne abbiamo l’esempio, ma anche il perenne conflitto Israelo-Palestinese con gli effetti a  catena che potranno discendere a causa dei barbarici bombardamenti del campo profughi di  Rafah, sotto lo sguardo impotente delle Nazioni Unite.  

Il Mediterraneo continua a essere il testimone delle logiche neocoloniali di molti paesi non  solo occidentali, che contribuiscono all’instabilità dei paesi nord africani e mediorientali. Oggi  stiamo vivendo la tragica esperienza dell’invasione Russa dell’Ucraina e di quanto accade  dopo il 7 ottobre. Siamo di fronte a un ritorno al passato con scelte, quali il Piano Mattei,  fondate sui combustibili fossili, rinnegando quella rivoluzione green tanto propagandata  dall’Unione Europea.  

Il Mediterraneo deve invece tornare a essere un ponte fra oriente e occidente, un mare  dominato dall’Ecopacifismo e non da logiche che hanno portato alla distorsione di grandi  slanci democratici come le primavere arabe.  

La U.E. che ha votato i nuovi eletti al parlamento europeo una settimana prima del G7, sta  purtroppo mostrando la sua debolezza schiacciata dalla storica contrapposizione fra USA e  Russia, dalla crescita pervasiva della Cina e dell’India e dalla propria incapacità di ritagliarsi  un suo ben definito spazio come è accaduto dopo la barbara invasione russa dell’Ucraina,  dopo gli atti criminali di Hamas del 7 ottobre e oggi, in occasione dell’invasione israeliana di  Gaza che ha da subito preso i connotati di un genocidio.  

L’Unione europea si stava ponendo come punto avanzato di riferimento della transizione  ecologica ed energetica già da dicembre 2019 approvando il Green New Deal, che oggi  alcuni, il governo italiano in testa, definiscono ideologico semplicemente perché continuano a  prevalere gli interessi legati ai combustibili fossili e perché si pagano i ritardi legati alla  incapacità o all’impossibilità di investire sulle filiere delle produzioni energetiche da fonti  rinnovabili e sulla mobilità sempre più elettrica e sulla rigenerazione industriale e urbanistica,  favorendo l’efficientamento energetico e programmi quali le “case green”.  

Che ci sia bisogno di un cambio di rotta lo dimostrano gli effetti devastanti dei mutamenti  climatici che colpiscono soprattutto i paesi e le popolazioni più povere; un esempio è  l’alluvione in Afghanistan, dove il dissesto idrogeologico ha raggiunto livelli devastanti,  aggravati dalla distruzione degli ecosistemi causata dal rilascio in ambiente di sostanze 

tossiche a causa dei decennali bombardamenti. Tuttavia i Paesi più “sviluppati” non sono  esenti dalla crisi climatica, come dimostra l’aumento vertiginoso degli eventi catastrofici che ha  colpito l’Italia nel 2023, aumentati del 22% rispetto al solo 2022: ricordiamo le esondazioni  sempre più frequenti o la crescente crisi idrica in Sicilia o le alluvioni in Emilia Romagna dello  scorso anno e in Baviera e nel Baden-Württemberg (Germania), qualche settimana fa.  

Gli Stati Europei non sono preparati ad affrontare una crisi migratoria senza precedenti e il  patto europeo sulle migrazioni non risolverà il problema, non sarà capace nemmeno di  arginarlo. Secondo i dati raccolti dal report di Legambiente sui migranti climatici in  collaborazione con l’Agenzia ONU per i rifugiati (UNHCR), entro il 2050, 216 milioni di  persone abbandoneranno la propria terra in cerca di una “terra promessa”, affrontando  soprusi, violenze e sfidando la morte. La situazione è talmente grave da aver spinto l’UNHCR,  in collaborazione con alcune prestigiose università, a elaborare un piano di “Ricollocamento  delle popolazioni in aree a rischio”.  

Un sempre crescente numero di migranti attraverserà proprio il Mediterraneo, è per questo  motivo che Legambiente ritiene che tra i temi del G7 debbano esserci la crisi migratoria nel  Mediterraneo. Quest’ultimo non come quel “mare mostrum”, come molti lo dipingono e che  purtroppo i fatti mostrano, ma come un mare di pace che unisce e consente programmi di  sviluppo comune e di cooperazione e gli scambi conseguenti. In questo senso il green new  deal deve essere lo strumento che l’Unione europea può mettere in campo nel suo stesso  interesse perché la crescita della cooperazione, della solidarietà e dello sviluppo sostenibile, a  cominciare da quello dei paesi africani, sono condizioni sine qua non per la crescita della  stessa UE. Invece il perdurare di visioni colonialistiche che sono dietro programmi quali il  piano Mattei, non fermeranno le migrazioni ma le accentuerebbero insieme all’instabilità e ai  conflitti e a quel rischio di reazioni a catena che è già in corso.  

A programmi che prevedono il perdurare di modelli di sviluppo fondati sui combustibili fossili e  sull’esaurimento di risorse naturali vanno contrapposti, come Legambiente evidenzia nei suoi  report e proposte di piani effettivi di sviluppo sostenibile che prevedano l’integrazione nei  paesi occidentali, primo fra tutti in Italia, dei migranti oggi respinti, trattenuti in condizioni  disumane nei Centri per il Rimpatrio o dimenticati. Piani che soprattutto garantiscano la  valorizzazione delle risorse territoriali nei paesi del così detto “Terzo Mondo”, risorse che  troppo spesso continuano a essere sfruttate dai paesi più industrializzati.  

Lo UN Environment Program evidenziava che già il 2017 è stato un anno record di  occupazione aumentata dell’8,7% generando maggiori e più remunerativi posti di lavoro  rispetto a quelli tradizionali anche se il solare fotovoltaico era concentrato in un piccolo  numero di Paesi. È stato stimato che l’industria eolica ha impiegato 1,1 milioni di persone a  livello globale e quella dei biocarburanti 1,93 milioni.  

Il Porto di Brindisi nel 2009 è stato riconosciuto dall’UNESCO come “Monumento testimone di  cultura di pace nel mondo” ed è questa cultura assieme a i programmi di transizione  energetica ed ecologica che ci portano a chiedere che il Mediterraneo sia al centro della  discussione fra i Paesi del G7, il Segretario Generale dell’ONU, la Presidente della  Commissione Europea e Papa Francesco che richiama costantemente al rispetto di questi  valori.