Lettera aperta al Presidente di Confindustria Orsini 

Dipietrangelo: Brindisi non deve essere solo industria e porto, ma si può lavorare insieme per lo sviluppo del territorio

Caro Presidente,

intanto le auguro il benvenuto nella nostra città. E lo faccio in qualità di cittadino e di imprenditore di un settore che continua a far parte delle vocazioni naturali di un territorio come quello dell’agricoltura a cui anche un illustre esponente del mondo industriale non può non guardare con interesse. 

L’agricoltura può avere, soprattutto a Brindisi,  uno spazio nella società, ma anche nella vita e nei valori delle persone. Anche nel sud, di fronte a quello che la Svimez ha definito “sottosviluppo permanente”, l’agricoltura cerca di reagire e di recuperare.

C’è, infatti, una inversione di tendenza verso il settore “primario” da cui fino a ieri si scappava; la società “urbanizzata” lo ha considerato, almeno negli ultimi 50 anni e fino a qualche anno fa, un settore senza futuro e residuale e comunque non proponibile per i giovani.

La modernità era altrove non nelle campagne che erano il passato, la povertà, la conservazione.  I contadini facevano studiare i propri figli per non farli lavorare in campagna. Li (e ci) mandavano all’università per diventare medici, avvocati, docenti, per non portare più “terra in casa” oltreché per un presunto riscatto familiare e sociale. 

Quelle scelte e quelle convinzioni hanno contribuito a produrre una cultura che ha fatto considerare l’agricoltore, il contadino, “bifolco”, “villano”. Ma oggi non è più così o almeno non si guarda con questo spirito la campagna e l’agricoltura. Lo dicono i dati delle nuove imprese agricole e quelli dell’occupazione, a lei ben noti. C’è una rivalutazione, un ritorno, un’attenzione diversa soprattutto da parte dei giovani e di quelle famiglie che, se pur urbanizzate, sentono il bisogno di un rapporto con la terra, con l’alimentazione e con un interesse verso l’economia agricola. 

La società italiana, e con essa giovani e famiglie, è stata ed è al centro di un grande processo di ristrutturazione dovuto soprattutto a questa lunga crisi. A questa crisi si sta rispondendo anche con profondi e duraturi cambiamenti di stili di vita e con un approccio più interessato ad una nuova economia, alla Green economy, alla agricoltura di territorio.

Sembra, infatti, che circa un italiano su due ha preso l’abitudine di coltivare sui balconi di casa o in spazi cittadini altrimenti abbondonati. Si va estendendo in molte città l’esperienza degli orti urbani. Brindisi lo ha iniziato a fare. Ci sono già molti insegnanti della scuola d’infanzia ed elementare che hanno introdotto nella loro impostazione formativa le pratiche primordiali della coltivazione. 

La cultura contadina e agricola, tra strade, palazzi e scuole, cambia la qualità della vita anche dal punto di vista dei tempi, portando la città ad assumere un ritmo più slow e a recuperare un rapporto con i propri spazi, con il proprio retroterra, con i suoi vecchi sapori, con le sue tradizionali pratiche di buona cucina e buona alimentazione(cose diverse da quelle propinate dai vari master chef televisivi). 

Coltivare, inoltre, contribuisce a dare il giusto valore al cibo che mangiamo. Per produrlo si richiede tempo, fatica, denaro e rispetto dei ritmi della natura. E’ scuola dove si impara a non sprecare e a rispettare l’ambiente. Ritornare a fare a casa il pane, le conserve, sta lentamente cambiando le modalità di preparazione del cibo e lo stesso stare insieme in famiglia e tra amici. 

Si può leggere così, oltre lo sviluppo degli orti urbani, la crescita nelle città dei mercati dei prodotti agricoli a Km zero, degli spacci delle aziende nelle campagne, dei gruppi di acquisto sociale(gas). Anche il ritorno e l’estendersi di tante sagre paesane e il diffondersi di tante associazioni ed iniziative culturali legate a “cibo-territorio-cultura” sono indicativi di quanto può esercitare e suscitare l’agricoltura nella società moderna e urbanizzata. E non si tratta di visioni o predisposizioni romantiche, salutiste, bucoliche. E’, invece, una opportunità di nuovo sviluppo che può valorizzare il territorio. Per ciò che sta già avvenendo in agricoltura e nelle campagne, va visto il futuro dei nostri territori e di Brindisi in particolare che, per tradizioni, per paesaggio, per estensione di superficie agraria disponibile, può avere una nuova prospettiva anche attraverso l’agricoltura. Mi limito a fare l’esempio della città di Brindisi, una città alla ricerca di identità e di futuro. 

Dopo gli anni della industrializzazione forzata e calata dall’alto e che, per un certo periodo, ha prodotto sviluppo, reddito e lavoro e che grazie ad essa si è ampliata, trasformando la non remunerativa rendita agraria di allora nella ricca rendita urbanistica ed edilizia consentendo, oltre il dovuto, la costruzione di case e di quartieri, è arrivato il momento di un ripensamento sullo sviluppo e sul suo diverso futuro. Per non parlare poi dei danni apportati al territorio agrario, in epoca recente, dai campi fotovoltaici realizzati senza regole e a discapito dell’agricoltura oltreché del paesaggio.

I dati dicono che la città di Brindisi per superficie agraria è la città pugliese, dopo quello di Foggia, con l’agro più esteso arrivando fino a Mesagne, Sandonaci, San Pancrazio, San Pietro, Cellino, Carovigno, San Vito. E’ l’unica città capoluogo che ha, a suo nome, un vino DOP, il Brindisi Rosso, e che fece del vino una delle sue principali ragioni e condizioni di sviluppo attraverso i tantissimi stabilimenti vinicoli tutti distrutti o dati alla rendita e alla speculazione edilizia. La città di Brindisi attraverso i suoi carciofeti ha fatto la storia del cultivar del carciofo, oggi IGP. Era famosa per la quantità e la qualità della produzione di angurie e melloni  gialli(ci sono ancora in giro per l’Italia gazebo che vendono angurie che spacciano come brindisine).

Autocriticamente attorno a queste produzioni non si è riusciti, però, a costruire filiere, a determinare una rottura nel percorso della intermediazione tra prodotti agricoli e loro trasformati e consumatori. Una intermediazione fatta di troppi passaggi e che tanto nuoce alla redditività dell’agricoltura brindisina e che avvantaggia e fa arricchire l’industria di trasformazione e la catena commerciale. Non si è stati capaci di valorizzare il saper fare dei nostri contadini, la qualità dei nostri terreni, introducendo le innovazioni necessarie. Anzi molte delle nostre produzioni sono state valorizzate, trasformate e utilizzate in altri contesti anche vicini,in un rapporto positivo tra produzioni agricole,cibo,territorio,

cultura. Si possono valorizzare e utilizzare a Brindisi le sue tradizionali produzioni, il suo saper fare agricolo,i suoi terreni,la sua pianura,per ripensare anche così il suo futuro? 

Nuovi giovani imprenditori brindisini,oltre che grandi imprese del nord,ci stanno provando ed anche con successo. Ma l’impegno devo andare oltre e deve coinvolgere il sapere e l’innovazione. 

Il vecchio saper fare non basta più. Gli elementi che non possono mancare sono oggi anche il saper raccontare (comunicazione, marketing, brand), il saper vendere (internazionalizzazione, e-commerce, creare nuovi mercati), il saper innovare (tecnologie di conduzione e di buona e sana coltivazione, dei processi produttivi), il saper ricavare nuovi prodotti dalle vecchie produzioni. Che sia cultura o storia, biologia o chimica, è il sapere l’elemento di maggiore valore anche per l’agricoltura. Ed è questa anche una delle condizioni per sconfiggere il caporalato e rispettare, valorizzandolo, il lavoro nelle campagne.

E poi tutto è collegato. Una sana agricoltura fondata sui saperi fa bene alla salute. Una buona agricoltura tutela il territorio e il paesaggio. Un paesaggio e un territorio ben tutelato attira il turismo, soprattutto quello di qualità. Il turismo di qualità va alla ricerca di benessere e di cibo sano, crea nuova occupazione, incentiva l’artigianato di territorio. 

Anche questo è un messaggio utile per il nostro futuro, per il futuro di questo territorio che può riscoprire tutte le sue potenzialità, ridando alla terra e alla agricoltura il ruolo perso o abbandonato. E non è anche questo un patrimonio da far conoscere e far apprezzare ai turisti, compresi quelli delle crociere?

A mio parere è giusto pensare da qui in avanti al settore primario anche attraverso una visione più ampia dove gli aspetti innovativi offrono spunti interessanti di reale cambiamento. 

Si può dare così una prospettiva alle nuove generazioni interessate e attratte dalla campagna e dalla agricoltura. E si darebbe anche un po’ di fiducia e di considerazione ai nostri agricoltori ancora disperati, per i costi di produzione o per le varie crisi agricole e di mercato che subiscono.

Sarebbe un ottimo segnale per la città e per l’agricoltura brindisina se l’Amministrazione  comunale, facendo il censimento delle proprie proprietà agricole (relitti stradali, terreni agricoli, donazioni, ecc.) le mettesse a disposizione di giovani e di anziani per coltivare e per imparare a coltivare e a produrre prodotti tipici della nostra terra, introducendo anche da noi la buona pratica degli orti urbani. 

C’è un patrimonio di terreni, di associazioni, di cooperative che in agricoltura possono dare e fare tanto. Ci si metta alla prova se si vuole guardare al futuro dei nostri territori senza rimanere impigliati ancora nelle polemiche sulla vecchia industrializzazione una parte della quale ha ormai fatto il suo tempo. 

Insomma è maturo il tempo che anche a Brindisi l’agricoltura ritorni ad essere considerata in maniera diversa per farla diventare una componente forte dello sviluppo del territorio. Brindisi non è solo industria, porto, zona industriale.

Se ci fosse una politica e una amministrazione attente si potrebbe pensare ad un “patto verde” per una buona agricoltura e per cibi sani, contro l’abbandono dei terreni, recuperando quelli incolti per far crescere così, attraverso incentivi, associazionismo, formazione, una nuova passione e una imprenditorialità giovanile radicata nel territorio e del territorio. 

L’agricoltura è un settore pieno di opportunità e può avere un elevato valore aggiunto a condizione che si sappia generare quel circolo virtuoso del sapere fatto di tradizione, qualità, innovazione e capacità di racconto. E Brindisi dai tempi dei messapi e dei romani, per la fertilità del suo agro, per la bontà delle sue produzioni agricole può fare e raccontare tanto.

“E’ necessaria, però, una spinta verso la innovazione, a partire anche dall’uso  dell’intelligenza artificiale in agricoltura e nell’intera filiera. Il lavoro agricolo non può essere più visto come la vecchia fatica di una volta, fatta di sudore, fango, sfruttamento. Può essere altro e dare soddisfazioni. Resta questo l’ultimo anello del progetto a cui personalmente sono impegnato ormai da quasi 10 anni: far tornare la vitivinicoltura brindisina – anche attraverso la piena consapevolezza di chi lei rappresenta, e cioè di un mondo industriale interessato come noi alla crescita del territorio – ad essere un nuovo riferimento di sviluppo, di attrattività enoturistica ed esperienziale dove si può realizzare una sintesi tra la storia del passato e un futuro ricco di opportunità e di innovazioni e come tale in grado di appassionare le nuove generazioni per restare o per tornare a Brindisi. E non è solo un sogno!”

 

Carmine Dipietrangelo