L’ennesima triste dimostrazione di un’Italia che prende letteralmente a calci chi ha combattuto per mesi contro il Covid-19»
Il Presidente del Sindacato Infermieri Italiani commenta la vicenda del giovane infermiere marchigiano, che si è ammalato di coronavirus per prestare servizio sul campo, come un buon soldato. «Oggi è un “debolmente positivo”, nel suo corpo continuano a esserci tracce del virus. La Lombardia, dove ha lavorato durante l’emergenza, vorrebbe rispondere favorevolmente alla sua richieste di tornare a casa sua, dalla sua famiglia nelle Marche, dopo tanto tempo di assenza. La sua regione di origine, invece, lo rifiuta. Oltre tutto Giovanni, che ha combattuto senza paura contro la pandemia, è un precario, uno dei tanti precari italiani: da due mesi quindi, non lavorando, non percepisce stipendio. Come potrebbe mantenersi a Milano? Anche per questo vuole tornare a casa dai suoi familiari. Ma è finito, suo malgrado, come in un “girone dantesco”. Da cui ha paura di non poter più uscire.
Chiediamo allo Stato di intervenire per risolvere dignitosamente, e caso per caso, le vicende di quei colleghi che portano ancora addosso i segni della battaglia. Vanno tutelati non trattati come appestati. Hanno combattuto per noi tutti».
Un debolmente positivo è un soggetto che continua a portare nel suo sangue tracce del virus, che tampone dopo tampone non vuole abbandonarlo. Un debolmente positivo però, non è per forza di cose un “caso contagioso”: una recente ricerca dell’Ospedale San Matteo di Pavia dimostra come sia sufficiente un esame di laboratorio supplementare per mettere in coltura il materiale proveniente dal tampone di questi soggetti e vedere se si replica e se ha reale capacità infettiva.
Antonio De Palma, Presidente del Nursing Up, Sindacato Infermieri Italiani, interviene sullo scabroso caso del giovane infermiere marchigiano, di stanza in Lombardia, Giovanni Formiconi. 24 anni appena, subito dopo la laurea, è stato lanciato allo sbaraglio nella battaglia contro il Covid. Ha lottato, ha combattuto in trincea per la salute degli italiani. Giovanni è uno di quelli che si è ammalato per difenderci dal “Mostro”. Ma oggi lo Stato e le Regioni lo hanno abbandonato a se stesso.
La sua storia è stata di recente riportata dal Corriere della Sera in un commovente articolo.
«Mi vergogno di appartenere a questa Italia quando leggo questo vicende, esordisce De Palma. Questo ragazzo, neo dottore in Infermieristica, subito dopo il conseguimento della sua Laurea non si è tirato indietro, per settimane è stato in prima linea contro la pandemia. Oggi non è più considerato, né un uomo, né un infermiere, e questo dovrebbe farci gridare allo scandalo, tutti, indistintamente. Le Marche, sua Regione di origine, lo “rifiutano” come fosse un appestato. Per la Lombardia, laddove ha prestato servizio come “eroe”, rischiando e cambiando letteralmente la sua vita, può tranquillamente fare ritorno a casa per concludere il suo percorso accanto ai suoi familiari.
Beffa delle beffe, Giovanni si è ammalato per difendere i cittadini italiani: ma non ha mai avuto nemmeno un regolare contratto di assunzione.
E poi ci chiedete perché noi infermieri siamo inviperiti come non mai, continua De Palma, e perchè non abbiamo nessuna intenzione di seppellire l’ascia di guerra?
Insomma, questo ragazzo ha sacrificato la sua vita, ha combattuto “al fronte” contro il nemico, giorno e notte, e oggi sembra un pò come il personaggio di Tom Hanks nel film “The Terminal”. Quando quell’uomo, in una situazione paradossale, fu costretto a vivere in un aeroporto perché nè il suo Paese di origine, né l’America, gli permettevano di “varcare” quella “terra di mezzo”.
Ci rendiamo conto che però questa è la realtà e non una pellicola? Non una finzione? Giovanni è un uomo, Giovanni è un infermiere, oggi vittima del pressappochismo e della confusione di quelle Regioni che agiscono, nel nostro sistema sanitario, con un pericoloso libero arbitrio, sistemi autoreferenziali che creano solo marasma in un sistema sanitario non univoco, da territorio a territorio, con conseguenze disastrose.
Ma una soluzione esiste? Intanto ci si accerti se Giovanni è ancora realmente contagioso. E se lo fosse davvero, venga sostenuto finché non guarisce del tutto: ha combattuto per la salute degli italiani come tanti di noi, non si merita di essere trattato come un “appestato”. Si tuteli la sua figura professionale, lo si collochi in una situazione dignitosa finché questa situazione perdura. E se si dovesse accertare che è idoneo al lavoro, non lo si tenga ancora in isolamento. In questa situazione, in “questa terra di mezzo”, un uomo, un infermiere, così come nessun soggetto al mondo, merita di “sostare”.
La Sanità Lombarda vuole dargli il via libera per tornarsene a casa, rispettando le norme di sicurezza, dice ancora De Palma, vicino ai suo familiari, concludere con dignità il decorso della sua malattia e riprendere la vita di prima. La Regione Marche lo “rifiuta” come un figlio di nessuno.
Oltre tutto Giovanni, che ha combattuto senza paura contro la pandemia, è un precario, uno dei tanti precari italiani: da due mesi quindi, non lavorando, non percepisce stipendio. Come potrebbe mantenersi a Milano? Anche per questo vuole tornare a casa dai suoi familiari. Ma è finito, suo malgrado, come in un “girone dantesco”. Da cui ha paura di non poter più uscire.
Mi domando, dove sono i responsabili del nostro dicastero, Speranza e Sileri, di fronte a questi casi: è qui che abbiamo bisogno di loro, della loro autorità, della loro competenza, del loro intervento, per distruggere un immobilismo che ci sta condannando senza appello. La politica torni a essere lo strumento più idoneo per sostenere i cittadini e i lavoratori, non un triste gioco di poltrone e di chiacchiere senza senso.
In un Paese civile degno di tal nome, un infermiere, un giovane uomo che si è ammalato prendendosi cura degli altri, anche ammesso che sia davvero ancora contagioso, ha il diritto sacrosanto di essere tutelato e curato ” con ogni premura” e per interessamento dei datori di lavoro responsabili della sua incolumità, quindi le Regioni e lo Stato, e gli va data senza indugio la possibilità di avvicinarsi a casa, dove potrà essere ulteriormente seguito, e dove potrà guarire supportato dall’affetto indispensabile di parenti e amici. Confermo la mia indignazione, e come Presidente di un Sindacato Nazionale di Infermieri, chiedo l’intervento immediato del Ministro della Salute Roberto Speranza».