A casa bruciata, metti fuoco”. Gli adagi degli antichi difficilmente sbagliano: la saggezza popolare è una chiave importante per decifrare contesti complessi e per restituire il quadro generale di determinate situazioni con folgoranti lucidità e rapidità.

Le stesse caratteristiche dei proverbi di una volta servirebbero ad arginare quanto accade nelle carceri italiane, dove i contagi tra operatori della sicurezza e detenuti, in continuo aumento secondo le statistiche, mettono a rischio chi vive e lavora negli istituti e le loro famiglie. L’esempio brindisino può aiutare a comprendere la difficoltà che le case circondariali vivono da un anno a questa parte, tra contagi, ondate e focolai: pare che il carcere sia invisibile oppure che, come vuole il detto antico, le cose siano così compromesse da non meritare ormai alcuna attenzione. 

Mentre in altre parti d’Italia si stanno adottando misure urgenti per arginare un problema che se sfuggisse di mano sarebbe difficilmente governabile, a Brindisi i detenuti ed il personale ivi operante, a parte il personale sanitario, non sono stati ancora vaccinati, esponendo loro malgrado se stessi e le loro famiglie al pericolo di contrarre il virus e di diffonderlo tra le mura e fuori le mura del carcere.

Vorremmo che la stessa concretezza dei detti di una volta contraddistinguesse le azioni di chi deve decidere le mosse da compiere per tutelare la salute della popolazione, di tutta la popolazione, secondo quelli che sono i dettami dell’articolo 32 della Costituzione italiana ma, nonostante numeri, tabelle, curve, da una parte, e appelli, grida d’allarme e moniti, dall’altra, le cose che saltano anche agli occhi meno attenti sono l’immobilismo, la macchinosità e la lentezza che alcuni decisori dimostrano. 

La senatrice a vita Liliana Segre, donna con un passato di segregazione noto a tutti, ha implorato che la campagna vaccinale sia estesa rapidamente anche alla popolazione carceraria. «I detenuti vanno inseriti nelle categorie prioritarie per il vaccino – le parole di Liliana Segre -. Lo Stato ha dei doveri nei confronti delle persone affidate alla sua custodia per tutta la durata della permanenza in carcere». 

I dati forniti dalle istituzioni preposte ci dicono che i contagi stanno aumentando e, alle soglie di una possibile terza ondata, non si può perdere altro tempo e farsi trovare impreparati come accaduto nel marzo del 2020. Da anni denunciamo che esiste un problema nella tutela della salute nelle carceri del nostro paese, così come che esiste il problema di tutelare la sicurezza sui luoghi di lavoro di coloro che operano nell’esecuzione penale, nella polizia penitenziaria, nelle funzioni centrali, nella dirigenza penitenziaria e costretti a lavorare in luoghi a volte malsani e fatiscenti, dove aumentano le aggressioni e i casi di suicidio, ma le nostre denunce sono rimaste inascoltate.

Le cose non cambiano a Brindisi dove non si può purtroppo escludere che i contagi possano aumentare da un momento all’altro: la situazione, già senza il contribuito del Covid, è estremamente precaria e il rischio della proliferazione di malattie anche ritenute meno pericolose di quella dovuta al Coronavirus è sempre altissimo.

Considerando la nutrita popolazione carceraria, gli spazi ridotti, i contatti dei detenuti coi famigliari, con gli agenti della Polizia penitenziaria e con le altre figure che ruotano attorno all’istituto di correzione di via Appia, non si può rimandare un piano che garantisca il vaccino ai carcerati. Ne va della sicurezza di migliaia di persone che, altrimenti, sarebbero esposte a un rischio elevatissimo di contrarre il virus e, cosa forse ancor più grave per chi ha l’onore e l’onere di prendere le decisioni sulla salute della popolazione, rimarrebbero di fatto fuori dai diritti che la Costituzione garantisce a ogni essere umano, così come vergato nell’articolo 32.

 

Il Segretario Generale

  Antonio Macchia