Gli abusi edilizi rappresentano un serio problema di legalità infranta e di etica pubblica disattesa, un problema che nasce talvolta dal diritto negato all’abitazione, ma molto più spesso da una scarsa percezione della sua illegalità e dannosità soprattutto sotto il profilo paesaggistico e ambientale.

In questi mesi le contrade abusive sono state portate al centro dell’attenzione, prima dall’incidente occorso durante la deposizione del gasdotto proveniente da Melendugno, che avrebbe provocato il prosciugamento di una falda a cui attingevano con dei pozzi gli abitanti della contrada Torre Rossa, poi dai recenti interventi politici tendenti a regolarizzare le costruzioni abusive per consentire la dotazione delle opere di urbanizzazione.

Le posizioni dei singoli proprietari sembrerebbero variegate: c’è chi ha ottenuto il condono, chi ha corrisposto tutte o una parte delle somme dovute a titolo di oblazione e di oneri concessori, chi ha confidato che il tempo e la prescrizione facessero la loro parte, chi infine, non contento di aver edificato abusivamente, ha continuato a costruire senza alcun titolo edilizio confidando nell’inerzia dell’Amministrazione Comunale. 

Probabilmente i colpevoli e, forse, strumentali ritardi della pubblica amministrazione nei decenni passati possono aver fatto ritenere che la situazione sopra descritta avrebbe trovato una soluzione bonaria con l’aiuto del legislatore statale o regionale ovvero grazie alla accidiosa tolleranza dimostrata in passato dall’Amministrazione Comunale.

In realtà le norme in materia edilizia e sul condono vincolano le scelte politiche e amministrative lasciando spazi minimi di discrezionalità.

Non sembrano percorribili le fantasiose soluzioni prospettate da alcuni per pervenire alla sanatoria degli abusi attraverso l’adozione di nuove varianti di recupero, sia perché il quadro normativo attuale non prevede procedure di sanatoria “urbanistica” per insediamenti abusivi, sia perché le varianti di cui all’art. 29 della legge n. 47/85, che riguardano esclusivamente gli insediamenti abusivi esistenti alla data dell’1.10.1983, che siano stati oggetto di perimetrazioni nei termini previsti dalle leggi regionali, hanno una valenza esclusivamente urbanistica e non edilizia, essendo finalizzate al recupero delle zone interessate dal fenomeno dell’abusivismo al fine di garantirne la dotazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

In altre parole le varianti di recupero hanno la funzione di recupero urbanistico delle aree su cui insistono insediamenti abusivi, ma non possono essere adottate per “sanare” gli abusi edilizi la cui sanatoria resta disciplinata dalle leggi statali sul condono edilizio.

Ebbene, pur essendo doveroso stigmatizzare l’indecente comportamento tenuto per decenni dalla politica che ha permesso al problema dell’abusivismo d’incancrenirsi ed il comportamento di coloro che dal mal costume della politica hanno tratto beneficio, è evidente che non è possibile continuare a girarsi dall’altra parte sperando che il problema si risolva da solo.

E’ necessario stabilire una road map che consenta di porre fine al fenomeno dell’abusivismo e di sanare il “sanabile”, tenuto conto anche dell’affidamento che la lunga inerzia dell’Amministrazione ha ingenerato nei responsabili degli abusi.

La soluzione dell’annosa questione degli agglomerati abusivi deve partire da una rapida definizione delle pratiche di condono edilizio ancora pendenti; proseguire con l’accertamento della disponibilità finanziaria riveniente dagli introiti delle istanze di condono e concludersi con la pianificazione e realizzazione delle opere di urbanizzazione necessarie a consentire a centinaia di famiglie di vivere in modo dignitoso.

Si deve poi potenziare in modo risoluto la vigilanza territoriale e l’attività repressiva delle violazioni urbanistico-edilizie per evitare che i danni del passato continuino a perpetuarsi in futuro.