Fa specie assistere allo stucchevole dibattito sulla questione energetica del Paese e, in particolar modo, del nostro territorio, come a voler ignorare le conseguenze che, in attesa di un intervento del Governo, gravano sulle bollette energetiche delle famiglie e del sistema produttivo; specie sul versante delle imprese, da cui dipendono, anche, i salari di milioni di lavoratrici e di lavoratori.

E, tutto ciò, a fronte di una guerra intollerabile ed ingiustificabile, che sta uccidendo donne, bambini, uomini, anziani e determinando una sorta di esodo con oltre due milioni di profughi, ad oggi, per un folle despota che vorrebbe ridisegnare con la forza i confini europei e riproporre l’impero di Russia cancellando un secolo di storia.

Di fatto, la strategia energetica del nostro Paese, nel corso degli ultimi 30 anni, ha determinato una prevalente dipendenza energetica proprio dalla Russia,  per circa il 40% di oltre il 90% di GAS importato.

Perciò, la nostra pesante dipendenza dall’estero, più che dai pochi investimenti realizzati sulle fonti rinnovabili (FER – negli ultimi vent’anni pari a ben 250MD di euro) è la conseguenza di scelte della politica che non ha puntato su una diversificazione del mix produttivo, fino a rendere oggi le bollette degli italiani le più care in Europa.

Sembra, allora, che proprio non si voglia comprendere come una totale produzione e consumo di energia, riveniente prettamente dalle rinnovabili, abbia tempi di realizzazione lunghissimi, in quanto sole e vento per loro natura non sono fonti pronte all’uso e, poi, perché i sistemi di accumulo necessari a garantire un approvvigionamento costante di energia che risponda alle necessità di tutto il nostro sistema produttivo – e non solo! – sono attualmente indisponibili.

Si trascura, peraltro, la struttura integrata della rete elettrica nazionale, che mai reggerebbe una generazione diffusa di produzione, appunto, di energia elettrica senza prima importanti investimenti, per realizzare i quali trascorrerebbero anni ed anni.

Una fonderia, un’industria del vetro, della ceramica o della carta, uno stabilimento siderurgico, ecc., stante l’attuale processo produttivo mai potrebbero produrre esclusivamente con le FER.

Ecco qual è il risultato di posizioni di parte, più inclini a parlare alla pancia che alle necessità del Paese intero e talmente general generiche da scontrarsi con soluzioni credibili, corroborate, però, dalla scienza.

Anche per questo, crediamo vada fatta un’operazione verità, coerente con quanti vedono il nostro Paese come piegato sul passato mentre altri, nostri concorrenti, traguardano un futuro energetico più verde e più sostenibile.

 Ad esempio la Germania con il nucleare, sebbene non di nuova generazione e la produzione energetica da carbone per oltre il 30%, manifesta sicurezza in tema di approvvigionamento; senza tacere del nucleare in Francia, che ha impianti situati a poche centinaia di chilometri dall’Italia e rifornisce per oltre il 10% i nostri consumi, a dimostrazione che il nucleare mette la bolletta energetica dei transalpini al riparo da qualsiasi destabilizzazione geopolitica, oltreché difendere l’ambiente molto di più di quanto accada da noi.

Potremmo andare avanti per dimostrare che i limiti posti a se stessa dall’Italia, in tema di politica energetica, ha pochi simili in Europa. 

Abbiamo detto no al nucleare, abbiamo detto no alle trivellazioni vicino le nostre coste dove, invece, trivellano i croati; abbiamo detto no ai rigassificatori, diciamo no alle pale eoliche “nel mio giardino”o“nel mio mare”, diciamo no ai pannelli fotovoltaici se incrociano qualche minimo problema di carattere paesaggistico, per non parlare della lungaggine di anni per le relative autorizzazioni. 

Poi, però, scendiamo in piazza per i costi energetici troppo alti!

Ormai per molti settori, dal manifatturiero (siderurgia, chimica, automotive, edilizia, ceramica, carta, vetro, ecc.) ai trasporti, all’alimentare, alla panificazione, all’agroindustria, al commercio, all’Horeca, l’unico strumento di autodifesasarebbefermare le rispettive produzioni.

E quanti continuano a discettare sulla questione energetica guardando nello specchietto retrovisore, chissà se comprendono che i suddetti settori a serio rischio di fermata, oltre a ricoprire un’oggettiva funzione sociale forniscono reddito a migliaia e migliaia di famiglie.

Persino di fronte ad un Ministro come Roberto Cingolani, che forte della sua indiscutibile competenza ha solo accennato al nucleare di nuova generazione per gli anni a venire, si è manifestata una strenua opposizione a prescindere da qualsiasi confronto di carattere scientifico.

Quasi non bastasse, se da più parti si continua a sostenere che ormai non si potrebbe più tornare al passato quanto, invece, traguardare solo investimenti sulle FER, noi gradiremmo non rimanere nell’attuale cul desac, atteso il rischio che si perpetrino gli stessi danni per lungo tempo causati al Paese in tema di politiche energetiche ed industriali.

Tali riflessioni non mirano a minimizzare l’importanza delle Fonti rinnovabili, di cui c’è indiscutibile necessità per fermare l’impatto climatico e la crisi ambientale che riguarda l’intero pianeta – benché l’Europa sia colpevole solo per il 9% di CO2 rilasciato nell’atmosfera – ma se si intende procedere ad una seria transizione  energetica ed in particolar modo ad una maggiore indipendenza energetica, è necessario considerare il Gas come una fonte necessaria.

Anche ElonMusk, il numero uno di Tesla, strenuo sostenitore delle energie rinnovabili, in un suo tweet ha dichiarato: “Odio doverlo dire ma dobbiamo immediatamente aumentare la produzione di petrolio e di Gas.”

Ribadiamo, perciò, l’urgenza di procedere con celerità alla realizzazione del deposito GNL di Edison a Brindisi, così come da tempo chiediamo di velocizzare tutti i progetti di investimenti sulle FER e sull’idrogeno, evocandone uno per tutti, ovvero il tanto atteso progetto dell’impianto eolico della Falk Renewables, sempre a Brindisi, che si presenta, tra l’altro, come importante opportunità occupazionale.

Senza trascurare che presso la Regione risultano fermioltre 400 progetti per FER.

Probabilmente, però, è arrivato anche il momento di mettere mano alle distorsioni prodotte nel 2001 dalla riforma costituzionale dell’art. 117 concernente la ripartizione della competenza tra Stato e Regioni, puntando a riportare alla competenza nazionale le infrastrutture strategiche, come le energetiche, sottraendole a beghe territoriali ideologiche, partitiche e, talvolta, personali, che traguardano più il successivo appuntamento elettorale (TAP insegna) che non la visione lunga di strategie industriali ed economiche utili all’intera comunità nazionale.

Purtroppo il dibattito politico che sta caratterizzando le attuali campagne elettorali per le amministrative pare, ancora, appannato da contrapposizioni fini a se stesse, che non alimentano molta speranza verso un possibile cambio di rotta.

Ma, come diceva Don Tonino Bello:“Accendere un fiammifero è molto meglio che maledire l’oscurità”.