Non spetta a me fare una valutazione sul bilancio di un evento, quello su Appia, vino, mare, svoltosi a Brindisi nei primi giorni di luglio,sull’organizzazione, sulle finalità e sulle risorse impegnate.
Non c’è stata partecipazione e consapevolezza adeguate, forse anche perché è stato collocato nel passaggio tra vecchia e nuova amministrazione comunale.
È,però, una buona occasione per riproporre,da parte mia,una riflessione sulle potenzialità produttive, enologiche, turistiche del vino di Brindisi e a Brindisi.
Ben 2.600 ettari dell’agro brindisino, tra vecchi e nuovi impianti, sono coltivati a vigneto per uve da vino (quasi il 30% della intera superficie agraria provinciale di tutta la superficie dove si produce uva da vino).
Assieme ai 1.300 ettari dell’agro di Mesagne costituiscono la zona della Doc Brindisi (una delle poche città che dà il proprio nome ad una doc). È questo un legame che unisce,assieme alla via Appia, Brindisi con Mesagne.
Una doc,però, poco valorizzata e poco utilizzata dagli stessi viticoltori: su circa 4.000 ettari vitati solo 367 sono stati registrati a doc Brindisi! Non ci si crede forse neanche da parte degli stessi produttori e delle strutture di tutela e valorizzazione.Alcune aziende singolarmente stanno facendo molto ma manca una visione comune e un impegno collegiale per il Terroir di Brindisi. Forse anche per questo i vini di Brindisi,un po’ per provincialismo, un po’ per ignoranza,non vengono promossi e proposti da chi nel territorio opera nella ristorazione e nel settore enogastronomico. Non succede così in altre aree del paese dove si producono vini.
Ci sono oggi favorevoli condizioni per ricostruire a Brindisi e anche a Mesagne una nuova economia e una cultura del vino? Ci sono competenze, pratiche, tradizione e storia. Oggi più che mai è necessario mettere e mettersi assieme (produttori, associazioni, istituzioni), cooperare in maniera innovativa, ripensare e rafforzare le forme associative di tutela, di ricerca, di promozione del prodotto vino e del suo territorio. I produttori, tutti, devono stare in prima fila.
L’economia e la cultura del vino non possono essere solo quelle che si incontrano negli eventi tipo sagre paesane anche se ambiziosi e di livello o esaurirsi con essi. C’è bisogno di iniziative in grado di aiutare capacità di conoscenza, di innovazione, di promozione e di valorizzazione dei nostri vini. Le stesse esperienze se pur interessanti fatte nel passato o quelle finanziate da fondi pubblici hanno perso e perdono per strada le stesse buone intenzioni iniziali.
Non sono quelle che servono o meglio non vanno sprecate o utilizzate per pavoneggiamenti e meri interessi aziendali.
Le feste, come le cene offerte per promozioni indistinte, passano… il negroamaro, le uve restano nella vigna, nelle cantine dove è richiesta competenza, innovazione e passione.
E poi per quei pochi fondi pubblici utilizzati per la promozione o per la rigenerazione dell’agricoltura salentina vale la regola del rapporto costi-benefici evitando sempre che i costi pubblici non diventino benefici privati!
Si faccia allora tesoro degli errori commessi o delle esperienze già fatte per avviare percorsi di nuovi eventi per promuovere il nostro vino e il territorio che lo produce.
Brindisi e Mesagne possono offrire tra le tante iniziative anche un “viaggio” nel mondo del vino che attraversa il territorio e il paesaggio dei vigneti, passa dalle cantine ed arriva alla cultura che è storia, tradizione, ricerca, innovazione di cui il vino è espressione.Un viaggio permanente come parte distintiva della attrattivita’ turistica delle due città dell’areale della Brindisi Doc e della campagna.
Un viaggio che inizia in campagna e finisce con un “brindisi” a mare.
Il nuovo turismo è anche questo.
L’interesse per i viaggi che mettono al centro il mondo del vino è in forte ascesa. Dati alla mano, per Cna Turismo e Commercio, sono 10 milioni i vacanzieri che pernotteranno fuori casa “grazie al vino” di cui circa tre milioni di stranieri, per un movimento economico quantificabile intorno ai 2,5 miliardi di euro.
Al primo posto da questi dati emerge la richiesta di esperienze all’aria aperta con passeggiate, degustazioni in luoghi suggestivi, magari al tramonto, immersi nella natura, alla scoperta delle bellezze del territorio.
E se la vendemmia ne può rappresentare il clou, ormai il turismo enologico è diventato un fenomeno annuale. E riveste un ruolo sempre più rilevante nel movimento turistico italiano in generale e soprattutto nel turismo enogastronomico e nel turismo esperienziale.
Alle istituzioni locali si chieda questo e non l’ennesimo contributo per la “festa” e alle aziende vitivinicole non si chieda solo vino da esporre e da far degustare gratis. Il negroamaro brindisino,poi,come gli altri vitigni autoctoni del territorio hanno la loro specificità (sentono il clima del mare) ed hanno tutte le potenzialità per imporsi con una propria identità a partire proprio dalla loro comune e diffusa sapidità (marina).
L’identità del vino ha un valore economico ed è un racconto da comunicare. L’identità del vino è il territorio!
L’identità è un percorso che affonda le radici nel passato e che si apre al futuro. E a Brindisi come a Mesagne lungo il tracciato terminale dell’Appia antica la storia è vino.
Questa è la sfida che soprattutto Brindisi e Mesagne devono fare a se stesse, alle loro istituzioni comunali, alla loro vitivinicoltura e ai loro stessi vecchi, nuovi e potenziali produttori ed anche a chi per legge e ruolo dovrebbe avere il compito di tutelare e valorizzare il vino che ha appunto il nome “Brindisi Doc”.
Mi auguro iniziative in questa direzione. La nostra giovane azienda è pronta a dare il suo contributo.
Carmine Dipietrangelo
Tenute lu spada