“Non solo i conflitti israelo- palestinese e russo-ucraino. Le guerre dimenticate rappresentano una piaga globale che, pur colpendo milioni di persone, ricevono poca attenzione mediatica e politica. E purtroppo, anche nel 2024. Questo fenomeno è complesso e riflette una serie di dinamiche economiche, geopolitiche e culturali. In primis, le guerre che coinvolgono paesi strategici o regioni economicamente rilevanti attirano maggiormente l’attenzione internazionale. La guerra Russia-Ucraina coinvolge l’Europa, la NATO e il controllo energetico globale. La questione Israele-Palestina è centrale per la stabilità del Medio Oriente. Poi c’è anche una motivazione mediatica con la stampa che spesso tende a privilegiare conflitti che riguardano potenze globali o temi sensibili, come religione e terrorismo. I conflitti in Africa, Asia o America Latina, ad esempio, spesso non hanno lo stesso impatto narrativo per il pubblico occidentale. C’è infine il problema della asimmetria dell’informazione, dovuta alle difficoltà di accesso e alla mancanza di corrispondenti locali nei paesi in guerra che ne limita la copertura. Ma quali sono nazioni e continenti più colpiti? In Africa, paesi come Sudan, Somalia, Repubblica Democratica del Congo e Mali sono teatro di conflitti protratti legati a risorse, tribalismo e instabilità politica, mentre in Medio Oriente Yemen e Siria rappresentano crisi umanitarie gravissime. In Asia, invece, l’Afghanistan vive un conflitto perenne, mentre la questione del Myanmar è un altro esempio di conflitto dimenticato. Pure in America Latina, sebbene meno visibili, insistono guerre tra cartelli della droga e forze statali in Messico, Colombia e altre nazioni. Insomma sono numerose le cosiddette “guerre dimenticate”, dove peraltro vengono reclutati migliaia di bambini come soldati o sfruttati nei conflitti, con conseguenti traumi psicologici. Uno scenario terrificante che si unisce ai dati allarmanti del WFP, secondo cui il conflitto è il principale motore della fame globale. Cosa fare, pertanto? Innanzitutto i media devono iniziare a non ignorare le guerre in paesi considerati non strategici, poiché questo contribuisce alla mancata sensibilizzazione dell’opinione pubblica. In tal senso ci chiediamo: perché milioni di vittime rimangono invisibili, ignorate dai media e dall’opinione pubblica? È possibile che la disuguaglianza mediatica rifletta una più profonda disuguaglianza politica e sociale? Finché le vite umane verranno valutate in base alla loro “rilevanza strategica”, non sarà davvero possibile costruire una pace globale e inclusiva?”.  
 
Così, in una nota stampa, Carmela Tiso, portavoce nazionale del Centro Studi Iniziativa Comune.